PugliaRegione Puglia + FoggiaProvincia di Foggia 

Dal Testo ”Orsara di Puglia” di Leonardo Cotugno

 

Più notizie di cronaca si conoscono per il XVIII secolo grazie alle annotazioni contenute nei registri parrocchiali. Se ne trascrivono alcune per avere con immediatezza, un panorama della società orsarese dell'epoca.

 

Il 14 novembre 1711 in località Pescorognone fu rapinato ed ucciso il commerciante Giuseppe Patruno di Corato; l'assassino, Gioacchino Calabrese fu condannato a morte. Nel registro è annotato: 25 febbraio 1712 sabbato (sicl)... Gioacchino Calabrese figlio di Giovanni e di Porzia Caporale morto appiccato fuori la Porta di S. Pietro condannato ad morte da questa Corte di Orsara ed essendo stato conuinto di omicidio e furto in persona di Giuseppe Patruno..... essendo duca di Bovino regnante D. Inico de Guevara, essendosi il suddetto confessato a D. Paolo di Castelnuouo della religione di S.Francesco..... D. Emilio Giacomo Cavalieri uescouo di Troia, l'aueua assistito in Orsara cinque giorni....ed è morto con atti di contrizione da uero cristiano".

Alla data 5 ottobre 1712 è annotato: "Dionigi Spadaro, figlio di Gian Antonio e Milena Porreca, sacerdote di questa terra di Orsara di anni 42 di sua età, era morto a causa di essergli stata tirata una pistolata da gente forestiera non conosciuta vicino la Porta di S. Pietro mentre ritornaua da celebrare la messa da S. Maria della Neve e quantum il colpo riceuto in testa doueua farlo morire instante pure portato in casa e fattolo sua confessione.... uerso l'ore 22 spirò".

In data 21 aprile 1722, "Eleonora Cappetta di anni 34 è morta in campagna e propriamente nella Scampata..., doue, portata da suo marito Antonio Tozza sotto pretesto di andare a fare le foglie (verdure), dal medesimo fu scannata con due colpi di stile uno alla gola e l'altro alla parte del cuore senza esserci stata causa alcuna essendo stata la detta Eleonora donna onoratissima e di buona coscienza".

 

Durante la festa della Madonna Neve era uso fare la sacra rappresentazione di un episodio biblico con attori improvvisati, che, armati, scorazzavano a cavallo per le vie del paese. Durante una di queste esibizioni, uno spettatore avvertì un attore che la cinghia della sella si era allentata. La parola cinghiato era offensive perchè si dava a chi aveva una sorella di dubbia moralità; perciò, il cavaliere si scagliò contro lo spettatore inseguendolo fin nella chiesa ed uccidendolo. Il fatto sarebbe avvenuto il 5 agosto 1688; ma potrebbe essere quello così riportato: "A dì 6 agosto 1722 Girardo Miscia della terra di S. Agata di Puglia di anni 28 è morto in questa terra di Orsara con un colpo di spade in tempo che staua facendo orazione nella cappella di S. Maria della Neue giorno della di lei festività, essendo stato insidiato il detto da mastro Felice de Finis per una parola quasi innocence detta dal sopradetto Girardo". Questo fatto indusse le autorità a vietare le sacre rappresentazioni ed anche la festività non fu più celebrata fino al 1799; in quest'anno, fu ripristinata perchè, il 29 maggio precedente, mentre si portava in processione la statua della Madonna per implorare la pioggia, questa era effettivamente venuta ed i raccolti erano stati abbondanti.

Alla data 16 gennaio 1726, si legge : Gio.Batta Alfani...terra di Gifoni..... li fu tirato una pietra nella tempia da Gio. Sasso uicino S. Domenico...dalle ore che ebbe il colpo, fino ad ore 15, stiede in retto senso fino alle ore 23, in cui preso da delirio.... alle due di notte se ne morì_...ed il reo fu preso carcerato alle tre, e la mattina fu portato a Bouino ".

Sotto la data 17 Febraro 1726 si ha: "Catarina Di Stasi...è morta ammazzata di anni 34 incirca...a caggione che, andando in Troia il giorno di domenica fu assalita, al principio della via della Cupa vicino S. Rocco, da Domenica Argentieri di Orsara con piu colpi di pietra in testa la restò morta fino a lauarsi le mani nel sangue di detta Catarina, per motivo di odio che fra esse vi era, stante la sopradetta Catarina aueua auto pratica col marito di detta Domenica di nome Nicolò Ruscitelli della terra di Iliceto, quale per essere inuischiato con detta Catarina, lasciò sua moglie e da questo ebbe l'origine la morte di Catarina, la quale stiede tre giorni insepolta fin tanto che uenne la licenza di mons. di Troia stante si trouaua per pubblico cedolone scommunicata e doppo che fu il suo cadauere assotto, li fu data sepoltura nella chiesa matrice ".

 

Il 12 maggio 1726, la chiesa di Orsara fu interdetta perchè gli ecclesiastici erano morosi non avendo pagato 52 ducati di decime arretrate; per l'esazione coattiva il vescovo inviò ad Orsara i collettori Giovanni Rossi e Pietro Zottola; alcuni pagarono 5 ducati e un tarì; gli altri furono sequestrati nelle loro case fino a pigliarsi le coltri di sopra li letti e le cappe con altri scempi.

Il primo giugno 1726 alle ore 17 "Saluatore Quintino, figlio di Vincenzo e di Isabella Perreca (uidua) di Orsara in età di anni noue, è morto nel campanile di questa chiesa di S. Nicolò senza sacramenti, mentre ritrouandosi dentro detto campanile da sotto per sonare le campane (per evitare un'imminente tempesta d'aria, al primo suono cadde la campana di mezzo per essersi rotte le maniche... che si stimò mancanza dell'artefice Francesco Tarantino campanaro di Orsara e nel cadere detta campana di cantara dieci) col labro colpì il capo di detto figliuolo, in tal maniera che si ritrouò il capo deviso in due parti, ed il cerebro uscito da fuora, (altri ragazzi rimasero feriti)...cadendo detta campana occupò la grada per doue s'andaua a detto campanile e ui concorse tutta la gente che piangeua dentro e fuora la chiesa mentre non sapendosi chi era morto perchè restarono rinserrati dentro il campanile fu bisogno che più persone con le scale andassero per il finestrone per dare aiuto a quelli che erano rimasti uivi (vivi) e per sottrarre quelli...feriti e morti....".

Ad Orsara la prima campana di cui si ha notizia pesava sette cantari e mezzo; fu inaugurata dal vescovo Tommaso De Marco il 23 dicembre 1692 mentre era arciprete Vincenzo Staffieri. Un'altra campana, del peso di sette contari, fu fusa il 20 agosto 1725 da Gio Batta Tarantino e fu istallata il 24 dicembre 1728; la legna occorrente per la fusione fu offerta dalla popolazione; il fonditore ebbe un compenso di 70 ducati. Giovan Domenico Tarantino, il 20 dicembre 1742, costruì un'altra campana di sette cantari impiegando 50 rotoli di rame; il prezzo di 60 ducati fu pagato dall'università di cui era sindaco Diego De Respinis. I Tarantino risiedevano ad Orsara, ma erano originari di S.Angelo dei Lombardi. L'uso di suonare le campane per scongiurare le tempeste è attestato anche per Bovino.

 

Il 7 agosto 1727 "Domenico Pinto... di anni 22...., stante dormendo la notte in campagna nella sua aia che guardava l'orzo, fu da Vincenzo Di Martino suo amico, assalito e con più colpi di una grossa mazza, dando alle tempie e parte alla mascella ed al petto, lo fracassò tutto in tal maniera che, tra lo spazio di noue giorni che campò senza mai cibarsi, .....se ne mori ".

Giovanni Saura di anni 27 incirca.... la sua morte fu caggionata da un colpo di schioppettata la notte del 7 agosto... nel tempo che guardava la sua aia e fu morto per abbaglio e per non dar uoce (voce) a parenti che stauano in esso luogo, mentre auendo uoluto il detto Giovanni fare una burla ai detti suoi parenti, uno di essi chiamato Domenico Cuciardi, cognato di detto morto, dubbitando (sic!) che non fosse stato qualche suo inimico, alzò la mano e tirò il colpo a detto suo cognato che, essendo stato ferito a morte nel petto con due palle, disse: "ah che aj facto" che doppo ore 14 se ne mori ".

Nel 1733, in una causa dinanzi alla Regia Udienza di Lucera, per contestare le pretese dei trojani sui territori di Crepacore e Ripalonga, intervennero il sindaco di Orsara Nicolò Fresina ed i consiglieri Antonio Dedda, Angelo Tozzi e Gabriele Trivi.

 

In data 20 marzo 1745 è annotato: -Giuseppe Biccari di anni 28 incirca; la sua morte è stata caggionata come auendo disertato per essere soldato del re di Napoli ed essendo stato pigliato da questo gouernatore e posto nella casa della leva ... e ritrouandosi legato, si menò dalla finestra ed essendo caduto dalla detta si ruppe le gambe".

L'8 novembre 1750 Pietro Paolo Zotto di Orsara anni 32 è morto nella difesa di S(annoro?) nel luogo detto Lo Serro dello Impiso con un colpo di accetta riceuto dalli vaccari del signor principe di Troia motivo che il detto Pietro Paolo aueua auto che detti baccari l'aueuano ucciso una scrofa".

Il 7 giugno 1756 "Pietro Pinto, marito di Rosa Cotugno, è morto nella Gotta (grotta?) detta Fontana di Magliano con colpo di schioppettata di notte per essere andato alla caccia reale, e casualmente si dice, che fosse stato tirato dai compagni e doppo giorni otto di diligenze (indagini) fatte, da una persona fu detto in confessione al sacerdote D. Saverio Fragassi, che il corpo morto di detto Pietro Pinto staua dentro un casale di detta Fontana della Gotta territorio appartenente a questa terra,e così fu visionato da cinque persone, che l'osservarono che stava con la faccia a terra, e nella sue mani videro un gruppo di capelli che si aveva strappato da' capo e con l'altra mano, per le forze fatte e per non auer auto aiuto nella di lui disgrazia, aueua strappata la terra e fu conosciuto da dette persone, che il colpo auto fosse stato nelle reni".

L' epidemia del 1764 ad Orsara fece 414 vittime. L'inizio dell'epidemia sembra coincidere con un fatto che è così riportato: All'11 aprile 1764, un giovane della Guardia Lombarda, di statura lunga e con la barba di pelo rosso, d'età di anni 35 circa, si è trovato morto dentro l'ospitale di questa terra di Orsara: non si sa il suo nome, ma solamente che giunse la sera del giorno 10 tutto freddo e, dopo riscaldato, si colcò ed, avendo dimandato chi fosse, disse che era della Guardia Lombarda che andava trovando sua moglie".

 

All'epoca i cadaveri degli adulti venivano seppelliti nella chiesa parrocchiale; quelli dei bambini nella chiesa abbaziale. Propagatasi 1'epidemia, ciò non fu più possibile per il grande numero dei morti, per cui si ordino di bruciarli; ma, lo spettacolo deprimeva ancor più il morale della popolazione e perciò si ordinò di costruire i cimiteri fuori dai centri abitati. Le autorità di Orsara ottennero dalla R. Udienza di Lucera di poter deporre i cadaveri nel vano esistente sotto il pavimento della chiesa di S. Pellegrino. Alla fine dell'anno 1764 risultano registrati 417 morti contro una media di 80 circa.

Nella seconda metà del XVIII secolo, sotto la spinta delle nuove idee che pervadevano l'Europa vi furono anche ad Orsara contestazioni nei confronti dell'autorità costituita. Una delle prime questioni riguardò 1'elezione dell'arciprete che era stata sempre una prerogativa del feudatario; infatti, dopo la rinuncia dell'arciprete Tommaso Nicola Picolo, il conte Troiano Cavaniglia nel 1514 designò Giacomo Alamo e, nel 1521, Feo Pinto. In seguito le designazioni furono fatte dai Guevara; infatti, Giovanni I nel 1528 designò Guglielmo De Ferrjis; Giovanni II, nel 1576, Angelo Di Sapia(o La Pia); Inigo I nel 1590 Giacomo Cataneo; Giovanni III nel 1618, Ercole Noia e, nel 1642, l'abate Francesco Calvano; Francesco Guevara, nel 1652, Francesco Curcio e, poi, Stefano Grippo, Vincenzo Staffiero (1673), Antonio Ingrossa (1674) e Nunzio Poppa. Inigo II designò Giovanni Spontarelli, che assunse l'incarico il 4 marzo 1715.

Nel 1762, alla morte dello Spontarelli, gli Orsaresi contestarono al feudatario Giovanni Maria Guevara il diritto di eleggere l'arciprete. In effetti, Secondo un privilegio del papa Benedetto XIII (1724-30) la nomina veniva fatta dal vescovo su designazione del feudatario. Però, non ostante le contestazioni, il feudatario elesse, in prosieguo di tempo, gli arcipreti Pasquale Ricci, Leonardo Tarantino e, il 13 giugno 1766, Paolo Malfesa, che non potè prendere possesso della carica per le contestazioni relative all'Abazia. In seguito, il feudatario designò Gianvincenzo La Monaca nel 1793 e Vito Frisoli nel 1801, per 1'ultima volta. Poi il diritto non fu più esercitato; ma fu abolito formalmente soltanto nel 1844 da sentenza emessa dal tribunale di Lucera in applicazione della legge 20 luglio 1818.

 

Più importante fu la contestazione del clero e della popolazione di Orsara contro il vescovo troiano per ripristinare pienamente l'autorità dell'Abbazia di S. Angelo. Queste rivendicazioni erano state sempre presenti; ma si era riuscito a tenerle frenate sia per l'autoritarismo dei tempi e sia per il tatto del vescovi. Nel XVIII secolo, il vescovo di Troia, Pietro Faccolli, era riuscito a frenare la contestazione ordinando la compilazione degli statuti del clero di Orsara e concedendo ai canonici orsaresi il diritto di usare la cappa di pelle tigrata, l'almuzia, il rocchetto ed i nastri viola; il relativo provvedimento vescovile del 20 gennaio 1749 era stato approvato dal papa il 7 febbraio 1749 e dal re il 23 febbraio 1750. Il vescovo Marco De Simone, che successe al Faccolli nel 1743, non seppe contenere la contestazione. Le rivendicazioni divennero aspre anche (e, forse, soprattutto) perchè si trovarono ad essere guidate dai fratelli Fattore.

La famiglia Fattore, col padre Salvatore, era originaria di Castellucclo Valmagglore (in un esposto al re, il vescovo afferma che ne era stata scacciata). I fratelli erano sei, tutti in buona posizione sociale: Francescantonio e Pasquale erano preti; Pietro e Giovanni erano impiegati; Alessandro era medico e Gennaro faceva l'avvocato a Napoli (il vescovo lo qualifica con lo spregiativo di paglietto). Francescantonio Fattore era un tipo irrequieto e già aveva avuto contrasti col parroco Giovanni Spontarelli. Nel 1741, mentre quest'ultimo faceva la predica domenicale, il Fattore aveva fatto suonare la campana a morto e la gente aveva abbandonato la chiesa piantando in asso il predicatore. Nel 1745, lo stesso Fattore (calunniosamente, secondo il vescovo) aveva accusato il parroco di essere il mandante di due archibugiate sparategli contro. C'era una scissione nel clero di Orsara con una corrente capeggiata dal parroco e favorevole al vescovo e un'altra capeggiata dal Fattore, che si faceva forte dell'appoggio popolare; tra i fautori di quest'ultimo c'era anche Michele Susca, priore del locale convento S. Domenico. Va anche notato che, entrambe le correnti si ricollegavano idealmente all'antica abbazia perche l'arciprete Giovanni Spontarelli si fregiava il titolo di abate. Nelle molte carte relative alla controversia vi sono pochissimi spunti storici. Ciò fa ritenere che le ragioni della contestazione erano prettamente economiche e riguardavano il clero; infatti, l'abbazia era ancora proprietaria di oltre 500 ettari di terreno ed e ovvio che le ricche rendite erano ambite sia dal vescovo che già ne godeva e sia dal clero di Orsara, che le rivendicava. La polazione era contro il vescovo per motivi campanilistici.Un atto arrogante del vescovo De Simone tramutò la contestazione in lotta aperta. Il canonico Francescantonio Fattore e Saverio Fragasso, forse invitati, si presentarono a Troia per un chiarimento col vescovo; ma costui non volle riceverli. Furono ricevuti dal cancelliere del vescovo, il quale li minacciò di scomunica e di arresto, se avessero persistito nella loro contestazione, e, inasprendosi la discussione, li svilaneggiò e li fece addirittura bastonare. Tornato ad Orsara, il Fattore, appoggiato dal clero locale e dalla popolazione, riaffermò l'autonomia della Chiesa di Orsara e prese posseso dei magazzini dove erano depositati i beni (soprattutto derrate) dell'abbazia. Il comportamento del vescovo, quindi, fu maldestro perchè la violenza rinsalda una pretesa sostenuta dalla forza, ma pregiudica irrimediabilmente quella già debole.

 

A questo punto intervenne Gennaro Fattore, che portò la contestazione davanti al re di Napoli, ponendo in evidenza le prevaricazioni e le illegalità poste in essere dal vescovo. Quest'ultimo, da padre sua, accusa Francescantonio di "sortilegj, dalla quale fede potrebbero sortire condanne capitali"; di non riconoscere l'autorità del papa e del vescovo; di istigare il popolo alla ribellione; di estorsione; di esercizio abusivo dell'arte medica e di altri reati, fra cui quello di "oltraggio al ritratto di Sua Maestà". Le accuse del vescovo erano condite di ingiurie e di pettegolezzi e ciò, più che rafforzare, indeboliva il valore delle sue argomentazioni.

La controversia si chiuse con un provvedimento salomonico, emesso il 17 Aprile del 1769 da re Ferdinando I Borbone: si riconobbe l'autonomia dell'Abbazia di S. Angelo, della quale Francescantonio Fattore prese possesso il 13 ottobre I769 come rettore di nomina regia; nel contempo si confermò che la chiesa di Orsara, distinta dell'Abbazia, rimaneva soggetta al vescovo di Troia.

Il 12 giugno 1762 morì I'arciprete Giovanni Spontarelli dopo essersi riconciliato con Francescantonto Fattore; quest'ultimo morì il 13 novembre 1784 dopo essersi anche lui riconciliato con 1'arciprete Pasquale Ricci. Sembra, quindi, che la questione dell'abbazia fosse ormai sopita; infatti, il 9 settembre 1786, il vescovo Giacomo Onorati riuscì ad ottenere la concessione dell'Abbazia, sia pure con la vecchia clausola "toties quoties" (nomina ad ogni suo successore). Restavano anche confermati il patronato del re e l'autonomia dell'abbazia.

Il 14 marzo del 1805 la concessione fu data al nuovo vescovo Michele Palmieri: ma, nel 1824, il suo successore Antonio Maria Monforte non ebbe bisogno di conferma perchè il Concordato del 20 luglio 1818 gli dava il diritto di amministrazione come vescovo viciniore.

 

Le rivendicazioni degli Orsaresi continuarono. Il 23 agosto 1826, il Capitolo di Orsara inizia, davanti al Tribunale di Lucera, una causa contro il vescovo Monforte e, nel 1840, assistita da Giovan Clemente De Stefano, portò davanti all'Alta Commissione esecutrice del Concordato la questione della collegialità della chiesa orsarese (va notato che in ordine progressivo di importanza, le chiese erano parrocchiali, collegiali, cattedrali, metropolitane e patriarcali).

Anche la Nunziatura Apostolica fu investita della questione e, con un provvedimento del 4 agosto 1841, dichiarò che la chiesa di Orsara era recettizia (cioè era un ente il cui patrimonio era amministrato collettivamente dal Clero locale).

E' evidente che queste azioni legali miravano solo ad un utile immediato; ma erano scoordinate e destinate all'insuccesso per quanto riguardava I'autonomia dell'antica abbazia ed il conseguente godimento dei terreni abbaziali. La questione fu definita della Commissione esecutrice del concordato con un rescritto dell' 11 maggio 1855, che incorporò definitivamente l'Abbazia di Orsara nel vescovado di Troia. Gli Orsaresi continuarono a rivendicare i diritti della loro abbazia;

 

La questione era ancora viva quando, il 12 giugno 1906, fu inoltrato al re di cui si affermava il diritto di patronato, un esposto del canonico Michele Guiducci con note storiche di Gaetano Cappetta. Dello stesso anno è uno studio storico-giuridico, inedito, di Vincenzo Del Giudice, all'epoca pretore di Orsara.

Evidentemente ancora non ci si rendeva conto che l'Abbazia di S. Angelo ormai apparteneva solo al passato e la storia ne era il suo vero patrimonio.
A questi scritti si può muovere un appunto; essi facendo dell'indagine storica sullo lo sfondo per rivendicare dei diritti, non utilizzarono compiutamente documenti che, all'epoca, potevano essere reperiti.

Orsara contro I Duchi Guevara e le lotte per le quotizzazioni.

 

In questi anni( 1500) il paese di Orsara era passato dal possesso dei Cavaniglia a quello dei Guevara. Del Giudice menziona un atto del notaio Gregorio Russo di Napoli col quale il paese, insieme a Montellere e Montepreise, era stato venduto da Troiano Cavaniglia a Giovanni I Guevara, per sedicimila ducati,il 29/12/1524.
Con la vittoria aragonese del 1462, Orsara rimase definitivamente in possesso dei Cavaniglia, che conservarono anche dopo il trattato di Granada (1500) che segno la fine della Monarchia Aragonese; infatti, con un diploma del 10 maggio 1510, Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, ne confermò il possesso a Troiano Cavaniglia. Quest' ultimo, con atto in data 29 dicembre del 1524 stipulato dal notaio Gregorio Russo di Napoli, vendette, per sedicimila ducati cum pacto redimendi, Orsara e feudi disabitati di Montellere e Monte Preise a Giovanni I Guevara, figlio di Guevaro Guevara, cadetto di nobile famiglia spagnola venuto alla corte di Alfonso I d'Aragona.

 

Il 16 settembre 1602 in località Ischia-Verditolo del territorio di Orsara, i notai Giovanni Muccigno ed Ovidio De Paulis redassero una transazione tra il feudatario Inigo Guevara, rappresentato dal suo amministratore Marcello Pisano a dall'erario (esattore) di Orsara, e il capitolo della chiesa orsarese, rappresentato dall'arciprete Giacomo Catania. Nell'atto si chiarisce che, trent'anni prima, Pietro Guevara (potrebbe essere Pietro Paolo, secondogenito di Giovanni I) aveva ricevuto in fitto alcuni terreni (non specificati) del Capitolo. Inigo,cui ne era venuto in possesso, non pagava l'estaglio e ne contestava addirittura la proprietà dell' ente; ma, dopo aver consultato i legali, si obbligò a pagare l'estaglio o a restituirli.
Francesco Guevara fu il primo e forse l'unico feudatario che risiedette quasi stabilmente ad Orsara; era un ecclesiastico che aveva ricevuto gli ordini sacri il 9 luglio 1639 dal vescovo Calderisi di Bovino; nei registri parrocchiali di Orsara si ha solo un atto di battesimo da lui redatto il 31 gennaio 1650. Con un atto del 16 settembre 1662, dal notaio Giovanni Muccigno, acquistò il palazzo dei Calatrava, che destino a sua dimora. Molto probabilmente, a lui furono dovute le più radicali menomazioni alla chiesa abbaziale perché vi fece costruire la loggetta per comunicare col suo palazzo e, conseguentemente, dovette spostare l'altare al lato opposto. Formalmente il palazzo Calatrava fu ceduto al Guevara dal clero di Orsara, che ne ebbe in permuta 55 versure di terreno in località Laura (ora Montagna). Ricordando che il terreno e il palazzo, in origine, appartenevano all'abbazia. È presumibile che questa vendita mascherò una spoliazione, alla quale concorsero gli interessi di tutte le parti che intervennero all'accordo; infatti, il feudatario ebbe una dimora adeguata senza dare praticamente alcun corrispettivo; il clero ebbe la libera disponibilità del terreno abbaziale e potè dividerlo tra i suoi componenti; infine, il vescovo di Troia, che approvò l'accordo, addolcì le rivendicazioni degli Orsaresi per gli altri beni ecclesiastici in suo possesso. Alla fine del XVII secolo, morto Francesco Guevara, Orsara tornò sotto il dominio feudale del duca di Bovino.
Agli inizi del XVII secolo, era feudatario di Orsara Giovanni III Guevara, duca di Bovino. Gli succedette il primogenito Carlo Antonio, che, non potendo pagare al fratello Francesco un legato testamentario di 40.000 ducati, nel 1649 gli cedette Orsara ed altri feudi vicini. A Francesco Guevara si riferisce un'epigrafe esistente sul frontone della Fontana Nuova; vi si legge: D. FRAN(ciscus) GUEV(a)RA BO(n)CO(m)PAG(nus) DUCIS BIBINI FIL(ius)UTILIS DOM(INUS) URS(ari)AE IVCFO (?) E(t) INSBLEDIOR (?) CULT(um) SUB(di)T(i)B(us) SUIS ERGIV(it) AN(no) 1663.
Anche se vi sono delle parole che non si riescono ad interpretare, il senso e chiaro; si ricorda che la madre apparteneva alla famiglia Boncompagni del ducato di Sora.
Un'altra epigrafe esistente nella stessa fontana, ne ricorda il primo impianto avvenuto nel 1547 (URSARIENSES HUNC PERENNIS AQUAE FONTEM GUEVARAE IUSSU STATUERUNT MCCCCCXXXXVII - Gli Orsaresi per ordine dei Guevara costruirono questa fontana di acqua perenne nel 1547). E' rimasto solo il ricordo di una Fontana Vecchia posta sull'odierna via Trento; si riteneva costruita prima dell'anno mille e fu fatta demolire dal commissario A. Garofalo verso.


Nella seconda metà del XVIII secolo, sotto la spinta delle nuove idee che pervadevano l'Europa vi furono anche ad Orsara contestazioni nei confronti dell'autorità costituita. Una delle prime questioni riguardò l'elezione dell'arciprete che era stata sempre una prerogativa del feudatario; infatti, dopo la rinuncia dell'arciprete Tommaso Nicola Picolo, il conte Troiano Cavaniglia nel 1514 designò Giacomo Alamo e, nel 1521, Feo Pinto. In seguito le designazioni furono fatte dai Guevara; infatti, Giovanni I nel 1528 designò Guglielmo De Ferrjis; Giovanni II, nel 1576, Angelo Di Sapia(o La Pia); Inigo I nel 1590 Giacomo Cataneo; Giovanni III nel 1618, Ercole Noia e, nel 1642. l'abate Francesco Calvano; Francesco Guevara, nel 1652, Francesco Curcio e, poi, Stefano Grippo, Vincenzo Staffiero (1673), Antonio Ingrossa (1674) e Nunzio Poppa. Inigo II designò Giovanni Spontarelli, che assunse l'incarico il 4 marzo 1715.
Nel 1762, alla morte dello Spontarelli, gli Orsaresi contestarono al feudatario Giovanni Maria Guevara il diritto di eleggere l'arciprete. In effetti, Secondo un privilegio del papa Benedetto XIII (1724-30) la nomina veniva fatta dal vescovo su designazione del feudatario. Però, non ostante le contestazioni, il feudatario elesse, in prosieguo di tempo, gli arcipreti Pasquale Ricci, Leonardo Tarantino e, il 13 giugno 1766, Paolo Malfesa, che non potè prendere possesso della carica per le contestazioni relative all'Abazia. In seguito, il feudatario designò Gianvincenzo La Monaca nel 1793 e Vito Frisoli nel 1801, per 1'ultima volta. Poi il diritto non fu più esercitato; ma fu abolito formalmente soltanto nel 1844 da sentenza emessa dal tribunale di Lucera in applicazione della legge 20 luglio 1818.
Dal primo settembre del 1700 fino alla morte avvrenuta il 15 novembre 1748, fu duca di Bovino Inigo Il Guevara. Costui era feudatario e possessore del vasto territorio tra Bovino, Castelluccio dei Sauri, Montaguto, Orsara, Panni e Troia. Questo territorio, in massima parte boschivo, era destinato alla caccia; perciò, aveva preso il nome di Caccia dei Guevara ed aveva come centro, non per posizioze ma per importanza, la Torre della Caccia, che trovavasi già riportata in una carta geografica dei musei Vaticani compilata alla fine del XVI secolo. In seguito l'edificio assunse il nome di Torre Guerara; Inigo II lo fece ristrutturare e vi fece apporre all'ingresso un'epigrafe per tramandare che Inigo Guevara, duca di Bovino, fedelissimo e riconoscente, fece la costruzione nel 1736 dedicandola a Carlo il Borbone, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme, affinchè, quale ospite graditissimo, rendesse più nobili i rustici passatempi dei duchi bovinesi con la presenza, la compagnia e la caccia (CAROLO BORBONIO NEAPOLIS SICILIAE HIERUSALEM REGI ET C(etera) PIO FELICI INVICTO AUGUSTO QUOD RURALES BOVINENSIUM DUCUM DELICIAS PRAESENTIA COMITATE VENUTU HOSPES MAXIMUS FECERIT NOBILIORES INNICUS DE GUEVARA BOVINI DUX D(evotus) N(umini) M(ai estati) Q(uae) E(jus) NE BENEFICI AMPLISSIMI MEMORIA UNQUAM INTERCIDAT P(oni) C(uravit) ANNO MDCCXXXVI). In effetti il re Carlo III di Borbane che aveva un attaccamento quasi maniacale per la caccia, e il suo successore Ferdinando I soggiornarono molto spesso in questo edificio ospiti dei duchi di Bovino. La destinazione a caccia di questo vastissimo territorio, riduceva le già scarse fonti di reddito delle popolazioni. Ad Orsara e nei paesi vicini le possibilità di reddito erano legate, esclusivamente, alla coltivazione dei terreni, peraltro, erano di scarsa produttività ed anche insufficienti come estensione. In conseguenza la popolazione si era stratificata in due classi: i possidenti o galantuomini ed i bracciali. I primi gestivano i terreni, in minima parte come proprietari; in maggiore misura, come coloni dei baroni o della Chiesa o anche come amministratori dei comuni; essi, inoltre, avevano un livello culturale più elevato che li portava ad essere meno legati ai pregiudizi e più aperti al nuovo in politica. I bracciali nullatenenti, erano legati alle tradizioni e, quindi alla Chiesa o, piuttosto, alla religione ed anche alla monarchia borbonica. Nella società locale così configurata, il contrasto era solo tra i bracciali ed i possidenti; questo stato di cose, ormai anacronistico rispetto alle nuove concezioni ed aspirazioni, caratterizzò le lotte politiche ed agrarie del XIX. Ad Orsara le prime contestazioni furono portate davanti ai giudici e riguardarono la tenuta di Cervellino, la cui estensione trovasi indicata in 57 carra e 13 versure (circa 1700 ettari) sulla quale potevano pascolare 456 bovine, 30 equini, 343 ovini e 336 maiali. Nel XV secolo, l'università di Orsara concesse al re Ferdinando I d'Aragona il territorio di Cervellino per destinarlo al pascolo delle regie razze di cavalli. Però all'atto della concessione, il Comune fece espressa riserva degli usi civici, il cui esercizio fu ristretto a certi periodi dell'anno, come è riconosciuto in un decreto dato nel 1579 dalla R. Camera della Sommaria. La zona fu costituita in difesa (ancora oggi è il nome proprio di una parte del territorio). Nel 1693, dismesso I'allevamento dei cavalli, il Fisco vendette Cervellino a Francesco Veneri. Nel 1759, quando iniziarono le contestazioni degli orsaresi, il territorio era di proprietà della duchessa Alvito e tenuto in fitto da Ferdinando Poppa; quest'ultimo pretendeva, come canone annuo per il pascolo (fida), 24 carlini per ogni bovino e 20 per equino. La contestazione degli Orsaresi finì davanti alla R. Camera della Sommaria e questa, con sentenza del 9 luglio 1763, stabilì che gli Orsaresi dovevano pagare una fida di 6 carlini, soltanto per ciascun animale di grossa taglia che pascolava su quel territorio. In seguito Cervellino "divenne proprietà del duca Rospigliosi Pallavicino, poi, di Gaetano Varo e, infine, fu acquistato dal Comune di Orsara con l'atto stipulato l'11 ottobre 1782 dal notaio Raffaele Avossa.


Ad Orsara le lotte violente per la questione agraria iniziarono alla fine del XVIII secolo. I primi moti si ebbero nel 1797 e poi nel 1799 quando i bracciali, approfittando dei rivolgimenti politici che rendevano deboli le autorità costituite, occuparono e dissodarono i boschi Montagna e Lama Bianca; cercarono anche di dissodare Montemaggiore, difesa chiusa destinata da motto tempo a pascolo dei buoi aratori. In queste occasioni, non vi fu alcuna reazione da parte delle autorità; ma nel 1802, quando l'occupazione si ripetè per Montemaggiore e Pannolino, fu inviato ad Orsara il gudice Gelormino della R. Udienza di Lucera. Costui, con l'intervento del soldati, fece cessare le l'occupazioni e ristabili l'ordine. Negli anni successivi le contestazioni imboccarono vie legali. In questi anni, sullo sfondo della Rivoluzione Francese, anche l'Italia meridionale fu scossa da profondi sconvolgimenti politici e sociali. Ferdinando I Borbone fuggi in Sicilia il 21 dicembre 1798 all'avvicinarsi dell'esercito francese del generate Championnet; quest'ultimo entrò in Napoli il 23 gennaio 1799. Proclamata la Repubblica Partenopea, i nuovi governanti inviarono nelle provincie i democratizzatori col compito di nominare gli amministratori locali, innalzare l' albero della libertà e confiscare i beni ecclesiastici. L'odio verso i galantuomini (in massima parte favorevoli al nuovo governo), il fanatismo religioso e l'ostilità contro gli stranieri Francesi provocarono, subito dopo, rivolte popolari con saccheggi e violenze atroci contro i repubblicani. Ad Orsara, fu eretto l'albero della liberta infiggendo un grosso ramo nella pietra tonda (è una pietra cilindrica, appositamente costruita; ha diametro 54 centimetri ed altezza 68 con un grosso buco al centro; attualmente e incastrata in un angolo della Chiesa parrocchiale). Alla data del 13 febbraio1799, trovo annotato "Francesco Pinto di anni 28 è morto ucciso nella pubblica piazza di questa terra di Orsara"; ma non è precisato se, come sembra, il motivo fu politico. Il 23 febbraio 1799, tre colonne di soldati francesi, percorrendo la via della valle del Cervaro e la via Trajana, giunsero a Foggia e perseguirono i responsabili della ribellione, fucilandone alcuni; Troia evitò il saccheggio e la fucilazione dei ribelli pagando un riscatto di tremila ducati. Ad Orsara fu costituita la truppa civica agli ordini del sottotenente Giuseppe Borrelli. In Capitanata la repubblica durò meno di tre mesi; il 21 aprile i Francesi abbandonarono Foggia e il 24 maggio vi entrò l'esercito borbonico del cardinale Fabrizio Ruffo e del generate Antonio Micheroux. Allontanatisi i Francesi e ristabilita a Napoli la monarchia borbonica, Ferdinando I cercò di ingraziarsi le popolazioni limitando i diritti dei feudatari sui beni delle collettivita. Il sistema feudale aveva attribuito ai feudatari ogni potestà e, quindi, anche l'amministrazione dei beni pubblici. Gli immobili potevano essere dei privati (allodi), dei baroni (burgensatica) e dei Comuni (demani) ("Dicuntur demania.... civitates, castra et bona alia...retenta per antiquos reges in potestate et dominio suo non donata et concessa aliis"). Il concetto di demanio come proprietà territoriale dei Comuni fu sancito dagli artt. 176 e 182 della legge 12.12.1816.


Gli usi civici già in epoca romana venivano ritenuti una derivazione del primitivo uso comune del territorio (compascua) e, quindi, originate in epoca preistorica con la formazione delle prime comunità (98). Conservati dal sistema feudale, furono riconosciuti anche dall'art. 15 della legge 2 agosto 1806 che abolì il feudalesimo e sono ancora tutelati dalla legislazione italiana vigente. Consistono nel diritto degli abitanti di utilizzare un territorio facendovi pascolare animali oppure raccogliendo legna o altri frutti naturali. Nella pratica I'accertamento degli usi civici e della demanialità era estremamente difficoltoso sia perchè mancavano, salvo casi rarissimi, prove documentali e sia perchè le situazioni di fatto derivavano da consuetudini, leggi ed abusi, i cui effetti si erano accumulati per secoli. In conseguenza si ebbero contestazioni senza fine tra gli ex baroni e le popolazioni (come cittadini e come enti pubblici). Queste contestazioni si tradussero, sotto l'aspetto legale, in cause interminabili e, sotto I'aspetto pratico, in sommosse e violenze. In questo periodo anche Orsara iniziò l'azione legale contro il feudatario per rivendicare gli usi civici sul territorio di Ripalonga. Ripalonga comprendeva anche le località denominate Ischia del Governatore, Lama Bianca Piano Perazze; l'estensione complessiva era di circa mille ettari (oggi la zona e riportata nei fogli catastali da 1 a 8 e nel foglio 42). Il feudo fu acquistato dai Guevara nel 1596. Nel 1763, il duca Giovanni Maria Guevara lo concesse ai massari (pastori) di Orsara per il canone annuo di 372 tomoli (circa 161 quintali) di grano. Il 28 marzo 1803 il Comune di Orsara, difeso dall'avvocato Giuseppe Casoria, iniziò davanti la R. Camera della Sommaria l'azione legale per Ripalonga contro il duca Carlo Guevara, difeso dall'avvocato Pietro Porcelli. Con la successiva allegazione difensiva del 3 luglio 1803, contestò anche il diritto di esigere i balzelli feudali (portulania, bagliva, focaggio, cippone, bottega lorda). La lite fu definita per i buoni uffici del canonico Michele La Monica con una "convenzione.... approvata da tutta l'intera cittadinanza di Orsara". Questa convenzione, ratificata dalla R. Camera Sommaria con decreto 14.11.1803, fu trasfusa nella transazioni redatta a Napoli il 22 febbraio 1804 dal notaio Ferdinando Caristo; in quest'atto si stabilì che il duca:
1) rilasciava al Comune di Orsara le "difese" Acquara, Ischia del Governatore e Monte Preise;
2) dava in enfiteusi al Comune per il canone annuo di 372 tomoli di grano (precedentemente pagato dai massari) i territori di Ripalonga, Piano Perazzi e Lama Bianca;
3) riconosceva come demaniali Montemaggiore e Montagna. Per contro il Comune di Orsara riconosceva al duca la proprietà del territorio detto di Pescorognone (oggi in catasto ai fogli 41 e 42) e faceva "altre piccole concessioni". La questione fu risolta anche politicamente quando il 3 dicembre 1804 la R. Camera della Sommaria accolse l'istanza presentata da Ignazio Tancredi per il Comune di Orsara ed autorizzò la concessione ai privati dei territori delle località Acquara e Ischia del Governatore. Nel febbraio 1806, mentre l'esercito francese del generale Massena entrava nuovamente nel Regno di Napoli, Ferdinando I Borbone tornò in Sicilia. Il trono fu dato prima a Giuseppe Bonaparte, che giunse a Napoli l'11 maggio 1806, e, poi, dal settembre 1808, a Giacomo Murat. Uno dei primi provvedimenti del nuovo regime fu la legge 2 agosto 1806 che abolì il sistema feudale. Il successivo decreto 11 novembre 1807 istituì la Commissione Feudale per decidere tutte le controversie tra i feudatari ed i Comuni. Per la definizione dei processi fu posto il termine del 31 dicembre 1808 poi prorogato al 31 agosto 1810.Nell'ottobre del 1809, l'avvocato Casoria (costui morì poco dopo e fu sostituito dall'avvocato Clemente Gaito), per il Comune di Orsara, riprese l'azione legale per la rivendica di altre terre demaniali contro il duca Guevara, sempre difeso dall'avvocato Porcelli. Dopo le decisioni interlocutorie del 31 ottobre 1809 e del 23 marzo 1810, si ebbe la sentenza del 31 agosto 1810 che stabili:
1)Pescorognone e Magliano appartenevano ai Guevara:
2) gli Orsaresi avevano il diritto di affrancare i fondi delle predette contrade che coltivavano da almeno dieci anni;
3) i terreni demaniali di Orsara erano liberi da terraggi, censi e di ogni prestazione feudale perchè non esisteva ad Orsara feudalità universale'.
4) in forza di un accordo intervenuto nel 1529 il comune di Orsara e il conte Cavaniglia (o Giovanni I Guevara), Monte Preise apparteneva al Comune di Orsara; questo, però, doveva pagare al duca il censo annuo di 55 ducati.


Nel 1815 al seguito dell'esercito austriaco, tornò al trono di Napoli Ferdinando I Borbone e dette mano alla Restaurazione, i cui eccessi rafforzarono, gli opppositori, già organizzati in sette segrete, fino a spingere ai moti rivoluzionari del 1820. Verso la fine del 1818 ad Orsara, vi fu un altro scoppio di violenze per la questione agraria; i "brac­ciali.....si sfrenarono" occupando, dividendo e dissodando i boschi nelle località Riconi di Cerveliino e Mezzanelle di Crepacore. Intervennero i soldati, al comando del capitano Savino, e fecero cessare le occupazioni. In questa occasione, si distinsero Michele Natale e Nicola Perrone, che si ritroveran­no trent'anni dopo in situazioni analoghe; ciò sta ad indicare che la questione si evolveva molto lentamente e vi erano resistenze fortissime. Comunque, la preoccupazione di evitare altre sommosse indusse il sottointendente di Bovino a fare pressioni sul Decurionato (consiglio comunale) di Orsara per una soluzione; infatti, il 26 ottobre 1819, fu costituita una commissione composta da Francesco Di Michele, Giuseppe Iatarola e dall'agrimensore Gaetano Amicangelo di Montaguto col compito di ripartire 556 versure di terreno di Ripalonga. L'attività di questa commissione fu interrotta dai moti rivoluzionari iniziati nel regno di Napoli il 2 luglio 1820 dagli ufficiali Salvati e Morelli.
In questa occasione, fu costituita la Repubblica Federativa della Daunia, alla quale, invitati, aderirono tutti i comuni di Capitanata ad eccezione di Orsara e Montaguto. E' difficile individua­re le cause della mancata adesione; si può pensare che la decisione fu presa dai possidenti, che controllavano l'amministrazione comunale e temeva­no che i rivolgimenti politici potessero pregiudicare i loro interessi. Però, anche ad Orsara, i rivoluziona­ri avevano adepti in tutte le classi sociali; infatti, venivano sorvegliati come carbonari i possiden­ti Domenico e Pasquale De Gregorio, Benedetto De Paolis, Tommaso Gambatesa, Severino La Monaca, Pientrantonio Spontarelli; i preti Giovanni Ferrara e Carlo Ricci; il medico Carmelo Di Stefano; il fabbro Angelo Guerriero; il calzolaio Gaetano Languzzi e il falegname Geremia Schiavino. Era anche molto forte la setta segreta dei Calderari di tendenza conservatrice e filo-borbonica. Vi erano, quindi, forti tensioni sociali e, in conseguenza, le lotte politiche erano aspre. Sedata la rivoluzione del 1820, si scatenò la repressione, che ebbe come strumento legale il decreto del 7 maggio 1821; era prevista la pena di morte a chi costituiva una setta segreta e l'esilio a chi ne faceva propaganda. Ristabilita la normalità, ad Orsara si riprese l'at­tività amministrativa per la ripartizione delle terre. Intervenne nuovamente il commissarto Zurlo e, con un atto del 5 marzo 1822, divise il territorio di Cre­pacore (2230 ettari) ripartendolo tra Orsara (circa mille ettari), Greci, Celle San Vito e Faeto. Questa spartizione non apportò alcun beneficio alle popolazioni perchè pose solo fine ad una controversia iniziata alla fine del XIII secolo fra i Comuni; i terreni, invece, appartenevano al duca di Ser­racapriola, Nicola Maresca (1789-1870), alla cui famiglia erano pervenuti verso la metà del XVIII secolo. La ripartizione dello Zurlo, però, dette ai Comuni interessati la possibilità di iniziare nel 1822, l'azione per la revindica della demanialità contro il Maresca. Il 22 novembre 1825 la Gran Corte dei Conti autorizzò i Comuni a proseguire l'azione e l'8 agosto 1830 vi fu un accordo parziale in base al quale il Maresca restituì parte del territorio. La causa si trascinò fino alla fine del XIX secolo ed ebbe una definizione sfavorevole per i Comuni. Intanto, ad Orsara, la ripartizione delle terre si era impantanata tra cavilli burocratici e cabale dei decurioni (consiglieri comunali); questi avevano trovato, nelle leggi per la tutela dei boschi (art. 180 legge 12.12.1816 e legge 21.8.1825), nuovi argomen­ti per opporsi alla quotizzazione.


Il 28 agosto 1824, il principe ereditario, France­sco I Borbone, era in visita ufficiale a Foggia; gli Or­saresi gli inviarono una delegazione per perorare la causa della ripartizione ed ottennero più frequenti solleciti all'autorita locale da parte dell'Intendente di Foggia. Cosicchè, entro lo stesso anno, fu rifatto il progetto di ripartizione con 952 quote per complessivi 3209 tomoli; il canone era di 6 carlini a quota. Poi, le quote divennero 962 per 3537 tomoli ed infine, nel 1826, le quote furono ridotte a 748 e furono divise in tre classi in rapporto alla fertilità: la prima di tre tomoli, la seconda di quattro e la terza di sei; il canone unico era di 30 carlini. Ciò non ostante, non vi furono assegnazioni. Il Decurionato si oppose sempre alla ri­partizione richiamando le leggi a tutela dei boschi e facendo proprie le ragioni dei possidenti e cioè che gli Orsaresi rifiutavano le assegnazioni perchè non volevano pagare canoni nè volevano terre da dissodare, tanto che avevano lasciato in abbandono quelle già assegnate; volevano invece, le terre che gli altri avevano già dissodato e migliorato. Daltra parte si rispondeva che i possidenti si erano appropriati dei migliori terreni, per i quali pagavano canoni irrisori; inoltre, non volevano altre assegnazioni o facevano assegnare solo terre inadatte alla coltivazione perchè ciò gli consentiva di subaffittare i loro terreni a prezzi esosi e di reperire mano d'opera a basso prezzo.
In questi anni la questione agraria sembra passata in secondo piano; in effetti si era fatta strada l'idea che, per vincere le opposizioni locali alla ripartizione, occorreva ricorrere direttamente re. Ciò porta a configurare una situazione politica con la classe dei bracciali di tendenza filo-borbonica e, quindi, conservatrice per la politica generale e rivoluzionaria per quella locale. La classe contrapposta dei possidenti era di tendenza antiborbonica, ma conservatrice per le questioni locali. D'altra parte, è risaputo che, durante le lotte per il Risorgimento, non solo ad Orsara, le fazioni popolarl erano filo-borbonche. Per ricorrere al re, ci si rivolse all'avvocato Edoardo Forgione; ma, avendo costui chiesto un compenso di 300 ducati, si rifiutò la sua assistenza. Frattanto, si ebbe un'occasione che sembrò particolarmente favorevole, l'orsarese Gaetano Zullo, nel 1843 durante il servizio militare a Napoli era riuscito a fare amicizia con tale Antonio Manzi stalliere del re. Tornato ad Orsara prospettò ai concittadini la possibilità di avvalersi del Manzi per avvicinare il re; perciò fu incaricato di recarsi a Napoli. Quivi, si fece redigere una petizione da uno scrivano di via S. Carlo. Tornato ad Orsara, riferì che il Manzi lo aveva presentato al re, nella villa reale di Castellammare di Stabia; aveva così consegnato l'istanza direttamente nelle mani del re e ne aveva ottenuto promesse di interessamento.Passarono alcuni mesi senza alcun risultato, perciò, Gaetano Zullo, della cui credibilità si cominciava a dubitare, prese una nuova iniziativa. Insieme ad altri, il 30 settembre 1844, si recò a Foggia dall'Intendente, che non volle riceverlo, e il 3 gennaio 1845, si recò dal sottointendente a Bovino. Chiedeva una carta di viaggio per recarsi dal re a Napoli e presentargli una nuova istanza per la ripartizione delle terre. Il permesso fu negato; la sera dello stesso 3 gennaio, una cinquantina di persone si riunirono nella casa di Antonio Fatibene e decisero di partire per Napoli la mattina del 6 gennaio. La mattina del giorno fissato, più di cento "villani" si riunirono nella chiesa della Madonna della Neve e, ascoltata la messa, si avviarono verso Napoli al suono delle campane e col crocifisso in testa alla comitiva. Lo stesso giorno il sindaco, Michele De Paulis e il pretore Gaspare Di Nunzio, comunicarono all'Intendente di Foggia il fatto e riferirono la diceria che, qualunque fosse stato l'esito della missione a Napoli, al ritorno della comi­tiva vi sarebbero state violenze ed occupazioni di terre demaniali e private. Il 7 gennaio 1845, per localizzare la comitiva, l'Intendente di Foggia ebbe un febbrile scambio di telegrammi con l'Intendente di Avellino e con il sot­tointendente di Ariano. Finalmente la mattina dell'8 gennaio 1845, la polizia fermò la comitiva, che era appena partita dopo aver pernottato nella taverna di Salvatore Pascale a Monteforte Irpino. Gli Orsaresi "camminando a due a due con i piedi scalzi" si erano accodati ad una processione guidata da un prete di Torre delle Nocelle e diretta al santuario di S. Filomena al Cardinale. Nell'occasione furono arrestati: Lorenzo Morsovillo di anni 55 (è indicato come capo perchè aveva trattato il pagamento col taverniere Pascale), Loren­zo Caccese di anni 52, Antonio e Raffaele Fatibene di 63 e 27 anni, Fedele Gianquitto di 50 anni, Giovanni, Luca e Michele Mastronicola di 29, 63 e 56 anni, Damiano Modesto di 60 anni, Michele Natale di anni 63, Nicola Perrone di 63 anni, Saverio Raffa di 50 anni, Carlo e Giuseppe Sammarco entrambi di 53 anni e Gaetano Zullo di 26 anni; questi, portati al carcere di Foggia ed interrogati nei giorni successivi, furono scarcerati il 5 febbraio 1845 e sottoposti a sorveglianza. Agli altri componenti la comitiva, circa 50 persone, fu ordinato di tornare ad Orsara e, per le spese di viaggio, fu dato un carlino a testa con la promessa che avrebbero ricevuto un altro carlino passando per Camporeale presso Ariano. Nello stesso anno 1845, per opporsi ad un aumento di tasse sul bestiame, 35 cittadini, difesi dall'avvocato Domenico Frascolla, proposero, dinanzi al Consiglio di Intendenza della Capitanata, una causa contro il Comune per far dichiarare l'esisten­za degli usi civici sui terreni di Cervellino, Ischia del Governatore e Montemaggiore. La sentenza, del 1848, negò l'esistenza degli usi civici, ma accolse l'istanza di riduzione delle tasse.


Negli anni successivi, il panorama politico diven­ne piu vario ed aumentarono i fermenti popolari in tutto il regno di Napoli. A Bovino dopo il 1820, si era costituita, per ini­ziativa di Emanuele Santoro la vendita carbonara segreta denominata "Vallo illuminato". Ad essa si collegavano anche i carbonari dei paesi vicini (150). Ad Orsara erano ritenuti carbonari e, quindi, attendibili (sottoposti a sorveglianza) il calzolaso Pietro Colaprico, Severino La Monica e Pietro Guiducci. La Carboneria, però, era in declino; mentre erano in ascesa i Liberali ed i Comunisti (151): Sembra limitativo ritenere che i comunisti fossero soltanto coloro che, secondo la definizione dell'art.12 del decreto 8 giugno 1807, lottavano per la quotizzazione dei terreni comunali e di quelli che si ritenevano usurpati dai baroni (152); infatti, a que­sta quotizzazione miravano tutte le correnti politiche più o meno antigovernative. I Comunisti, inve­ce, avevano un credo ideologico non chiaramente individuabile oggi e, forse, non lo era neppure per i contemporanei; erano, però, certamente di tenderize anarchiche e socialiste, anche se non specificamen­te marxiste. Questa precisazione è interessante perchè dimostra la rapidità con cui si stavano diffondendo, in ogni parte dell'Europa, le idee che portarono ai moti rivoluzionari del 1848. I Liberali di Orsara si riunivano nella farmacia di Leopoldo Campanella o nella bottega del sarto Giacomo Fasulo; avevano adepti anche negli altri paesi del circondario, Greci e Montaguto, ed erano a contatto col centro liberale di Napoli guidato da Carlo Poerio. Il principale animatore locale di questa corrente era l'agrimensore Giuseppe Calabrese figlio del fornaio Francesco. Costui era nato nel 1811 ed aveva studiato nel seminario di Bovino; in continuo contatto con i contadini per motivi professioli, era convinto della necessità di quotizzare i latifondi dei Guevara e dei Maresca. Le prime avvisaglie delle nuove tendenze si ebbero agli inizi del 1847 con i moti popolari di Greci e più ancora, con quelli di Orsara. Qui, il 4 gennaio 1847, 600 bracciali tennero occupato il bosco di Montemaggiore. Il giorno successivo intervennero il giudice Di Nunzio, la guardia nazionale guidata dal sindaco Michelantonio Ricci e la gendarmeria reale di Bovino; furono arrestati 37 bracciali e cessò l'occupazione. In seguito, i fermenti si aggravarono in tutto il preAppennino Dauno-Irpino; i moti popolari, spesso accompagnati da occupazioni di terre, raggiunsero il massimo nel 1848 e, alla fine dell'anno, il carcere di Bovino e, presunilbilmente, anche quello di Orsara erano sovraffollati per il gran numero degli arresti. Questa situazione locale rispecchiava quella generale del Regno di Napoli e dell'Europa; ciò ha fatto passare alla storia il 1848 come l'anno delle rivoluzioni. Il comportamento esitante della Monarchia Borbonica esaltò i fermenti sociali e contribuì a farli degenerare in aperta rivolta. Dopo i moti di Napoli del novembre 1847, la rivolta di Palermo dagli inizi del 1848, e quella scoppiata nel Cilento il 17 gennaio 1848, vi fu la grande manifestazione popolare, che, il 27 gennaio 1848, portò un'immensa folla davanti alla reggia di Napoli. Questi fatti indussero Ferdinando II Borbone ad emanare, il 29 gennaio 1848 l'editto che indisse le elezioni dell'assemblea costituente e fissò i principi della costituzione.
Il 18 aprile 1848 furono fatte le elezioni; ma il 5 maggio si impedì l'inaugurazione dell'Assemblea e furono indette nuove elezioni per il 15 giugno successive. Ciò portò alla rivolta e alle barricate di Napoli del maggio 1848 e solo le elezioni successive placarono gli animi. Indecisione ancora maggiore il governo dimostrò per la questione agraria, che interessava concretamente la quasi totalità della popolazione. Il 22 aprile 1848, il ministro Raffaele Conforti diramò una circolare che consentiva ai Comuni di riproporre la revindica dei terreni demaniali. Il provvedimento, che, nelle intenzioni del governo, avrebbe dovuto sopire i fermenti, in effetti li esaltava perchè ne riconosceva la legittimità, non offriva un mezzo legale per una rapida soluzione e alienava al governo l'appoggio dei possidenti. Infatti, nelle lotte sociali, l'autorità che cerca di conciliare gli interessi contrapposti senza un chiaro criterio di ciò che è giusto o, almeno, conveniente, finisce per aggravare il conflitto perchè rinsalda il convincimento che solo la forza può affermare il diritto.


Agli inizi del 1848 il circondario di Orsara, comprendente anche Greci e Montaguto, aveva una popolazione di 9410 abitanti; 74 persone erano attendibili (sorvegliati dalla polizia come sovversivi). Nella sola Orsara (4857 abitanti) gli attendibili erano 23 (2 contadini, 8 artigiani, 1 commerciante, 2 professionisti, 7 proprietari e 3 sacerdoti). Nel marzo, fu nominato sottointendente di Bovino Francesco Capobrin per sostituire il predecessore Cassitto, ritenuto poco energico. I primi moti si verificarono in marzo a Greci; la popolazione depose il sindaco e il capo-guardia Vincenzo Lusi; poi, riunita nella chiesa parrochiale, acclamò a sostituirli Giuseppe Lauda e Carlo de Majo. Il 30 aprile 1848, ad Orsara fu arresto il comunista Fedele Cappetta detto Sacrestano perchè aveva raccolto un gruppo di persone e, commentando la circolare del ministro Conforti, li incitava a quotizzare le terre demaniali e quelle dei Guevara nelle località Magliano e Torre. Appena si seppe dell'arresto, l'anarchico Giacomo Fasulo raccolse la popolazione e la folla si presentò davanti alla Pretura chiedendo la liberazione del Cappetta; al rifiuto, assalì il carcere e lo liberò con la forza. Per questo fatto furono inquisiti il Fasulo e Giuseppe Calabrese, non ostante che quest'ultimo non avesse partecipato ai fatti perchè era a Napoli. Con sentenza del 9 dice 1850 entrambi furono assolti per amnistia (7.9.1850) e sottoposti a domicilio coatto. II 3 maggio 1848, fu arrestato Pasquale Mastrolacasa; suonando un corno incitava gli Orsaresi ad occupare la tenuta Torre. Il 15 maggio circa trecento persone occuparono i terreni di Montemaggiore e Cervellino; il sindaco Michele Ricci e il pretore Bellotti fecero intervenire la Guardia Nazionale e, questa, dopo pochi giorni, riuscì a far cessare l'occupazione facendo opera di persuasione, per cui fu accusata di connivenza. Fatti più gravi si verificarono il 23 agosto successivo. Circa sessanta persone invasero e presero possesso della tenuta Magliano. Francescantonio Timi, fattore del duca Guevara, ricorse al sottointendente Capobrin, il quale fece intervenire il reparto dei dragoni a cavallo e ne diresse lui stesso le operazioni. I soldati assalirono improvvisamente gli occupatori, li dispersero e li inseguiro fin nelle vie di Orsara. Non si ha notizia di morti o feriti; furono arrestati, insieme ad altre persone, anche Fasulo e l'avvocato Edoardo Forgione come istigatori. I fermenti continuarono senza altri fatti clamorosi finchè, nel 1852, furono assegnate 741, quote di terre demaniali per complessivi 11497 moggi. In seguito, ad Orsara, vi furono altre ripartizioni di terre demaniali fino alle ultime avvenute nel 1933 e nel 1948. Oggi la questione è pressocchè dimenticata, ne restano, però, le conseguenze; infatti, il dissodamento di quelle terre, poco adatte alla coltivazione intensiva, fu essenziale per lo sviluppo sociale ed economico della popolazione. Oggi la loro coltivazione è divenuta non necessaria ed antieconomica, tanto che molte zone sono del tutto abbandonate e, quel che è peggio, isterilite e degradate; onde, anche se costoso, sarebbe utile, ripristinare la situazione originaria. Le contestazioni per i possedimenti del duca Guevara continuarono finchè, tra il 1920 e il 1925,i terreni furono venduti ai privati. Gli acquisti e le spartizioni furono fatti, in massima parte, dalle cooperative La Solidarietà, di tendenze socialiste, interessata all'acquisto di Magliano, e Agricola Torre Guevara e Limitrofi di tendenze cattoliche e interessata alla tenuta Torre.


Nell'estate del 1860, tra lo sbarco di Garibaldi a Marsala (11 maggio) e il suo ingresso trionfale in Napoli (7 settembre), venuta meno l'autorità costituita, in tutti i paesi della Capitanata vi furono tumulti con saccheggi e talvolta anche assassini. Ciò accadde ad Accadia, Greci, Orsara, Panni e Roseto; a Bovino i tumulti durarono due giorni in luglio e diversi giorni a settembre; a Biccari fu uccisa una guardia nazionale. In ottobre vi fu il Plebiscito per votare l'annessione al nuovo regno d'Italia. Anche in questa occasione vi furono tumulti e violenze: a S. Marco in Lamis ed a Cagnano non si votò e a S. Giovanni Rotondo furono addirittura uccisi alcuni componenti del seggio elettorale. La Capitanata, però, fu favorevole all'annessione con 57.288 voti e solo 996 contrari. A Panni vi furono 136 voti a favore e 321 contro. Ad Orsara si votò il 29 ottobre 1860 e vi furono1006 voti a favore e nessuno contro. Negli anni successivi il fenomeno più triste fu la recrudescenza del brigantaggio, sovvenzionato e organizzato, almeno nei primi tempi, dai Borbonici che speravano in una rivincita. La legge 15 agosto 1863 comminò la fucilazione immediata per i briganti che opponevano resistenza con armi. In questa occasione, si costituì a Orsara la commissione per la repressione del brigantaggio composta dal presidente Antonio Fresini e da Carlo De Gregorio, Samuele Buonassisi e Francesco Saverio Fragassi. Tra il 1860 e il 1864 nella zona operarono i briganti Giuseppe Schiavone, che fu catturato e fucilato a Melfi il 28 novembre 1864, Carmine Donatelli detto Crocco, Michele Caruso (fu arrestato il 10 dicembre 1863 a S. Giorgio Molara e fucilato due giorni dopo (a Benevento) e l'amante di quest'ultimo Filomena Piccaglione di S. Agata di Puglia. Per combattere i bri­ganti nel territorto di Orsara operarono reparti del 22° Reggimento fanteria agli ordini del capitano Nicola Renzoni e dei tenenti Carlo Nava e Giovanni Trapassi. Molto attiva fu anche la Guardia Nazionale comandata da Giuseppe Calabrese. Si ricordano molti fatti di questo periodo. L'8 ottobre 1862, la guardia nazionale di Orsara catturò e fucilò il brigante Leonardo Orlando di Greci. Il 4 dicembre successivo in località Magliano rimasero uccisi cinque briganti della banda di Petrozzi e Schiavone durante uno scontro a fuoco con i soldati. Il 29 dicembre in località Acquara, furono catturati e fucilati i briganti Scrocco e D'Alessio, mentre i compagni Barra, La Luna e Tedesco riuscirono a fuggire. L' 8 febbraio 1863 a Cervellino, in uno scontro a fuoco tra la banda di Angelo Cavaliere ed i soldati, rimase ucciso il brigante Michele Rafaniello. Il 26 marzo 1863, in località Montegrifo presso Faeto, la guardia nazionale di Orsara ed i soldati del Trapassi catturarono, non ostante si fossero arresi senza combattere, i briganti Antonio Malamisura, ven­tunenne di Monteleone, e Angelo Di Pietro, ven­tiquattrenne di Bonito. Portati ad Orsara furono fucilati la sera dello stesso giorno ed i cadaveri furono lasciati nel cimitero; ma durante la notte, il Di Pietro, che si era finto morto ma era solo ferito fuggì ed andò a consegnarsi alle autorità di Troia che gli risparmiarono la vita e, al processo, fu assolto e liberato. L'episodio più grave accadde nel giugno 1863 quando furono avvistate nel territorio di Orsara le bande collegate di Michele Caruso e Giuseppe Schiavone. Il giorno 22 i briganti riuscirono a disimpegnarsi dai soldati in due scontri a fuoco in territorio di Celle. Anche la mattina del 23 in località Magliano, si scontrarono col reparto del Renzoni; ma si ritirarono perdendo soltanto i cavalli. Per costringerli ad allontanarsi dal territorio di Orsara, verso le 11 dello stesso giorno, 35 guardie nazionali orsaresi col comandante Giuseppe Calabrese e il vice sindaco Michele Grillo, si portarono in località Sannoro; qui la guardia Vitulli ebbe un'aspro alterco con Pasquale De Maria per avergli confiscata una giumenta datagli dai briganti in cambio di un altro animale. Poi le guardie si diressero verso Orsara, ritenendo che le bande si fossero allontanate. Di questa convinzione ebbero conferma alla masseria di Mattia Stefanelli da costui e dal suo operaio Leonardo Boscia; ma, poco oltre, tra le località Piano Perazzi e Vallone Caselle circa a 4 chilometri a nord di Orsara si trovarono improvvisamente accerchiati da una sessantina di briganti, che intimarono la resa promettendo salva la vita. Si arresero; ma i briganti, dopo averli privati delle armi e delle divise, cominciarono a massacrarli. Particolare efferatezza usò Filomena Piccaglione, amante del capobanda Schiavone. Le guardie si difesero come poterono in una lotta corpo a corpo col coraggio della disperazione;l'eccidio terminò quando i briganti si accorsero che stavano sopraggiungendo i soldati del capitano Renzoni. La notizia giunse subito ad Orsara e la popolazione si riversò in piazza per conoscerne i particolari. Nella folla, l'avvocato Diodato De Stefano affrontò il Tenente Trapassi e lo schiaffeggiò accusandolo di aver vigliaccamente ritardato il suo intervento in aiuto delle guardie; Il De Stefano fu assolto nel successivo processo per oltraggio. In questa occasione furono uccise le guardie Nicola Amendola, barbiere di 31 anni; Samuele Buonassisi, di 36 anni maestro elementare; Giuseppe Buonocore, pizzicagnolo di 36 anni; Giuseppe Calabrese, di 52 anni agrimensore (era stato detenuto politico tra il 1848 e il 1850 per i fatti che abbiamo già riferito); Edoardo Cappetta, orefice di 36 anni; Giuseppe D'Errico, falegname di 45 anni; Francesco Saverio Fragassi, avvocato di 33 anni; Antonio Frisoli, macellaio di 40 anni; Michele Frisoli, muratore di 35 anni; Michele Grilli medico di 28 anni (era stato garibaldino); Raffaele Martino, calzolaio di 28 anni; Francesco Paolo Pellegrino, barbiere di 30 anni; Ernesto Pesce, di 28 anni, guardia di pubblica sicurezza originario di Nola; Vincenzo Spontarelli, di 53 anni, esattore; Tommaso Tozzi, agricoltore di 43 anni; Giuseppe Valentino, calzolaio di 28 anni; Tito Vitulli, di 28 anni, guardia di pubblica sicurezza originario di Bomba (Chieti). Nei giorni successivi, per le ferite riportate, morirono Donato Frisoli, macellalo di 36 anni, e Nicola Maria Cucciardi, di 41 anni. Pur essendo stato ferito, si salvò Antonio De Salvio, sarto di 33 anni. Delle 35 guardie, che avevano par­tecipato all'azione, ne morirono 19 e si salvarono 16. Il processo per questi fatti si svolse ad Avellino dal 25 al 27 novembre del 1864; furono condannati per favoreggiamento ad otto anni di reclusione Pasquale De Maria di Orsara e Mattia Stefanelli di Celle; furono assolti Leonardo Boscia di Greci e Lorenzo Poppa di Orsara. La condanna fu confermata della Corte di Cassazione di Napoli il 30 giugno 1865. A ricordo di questo fatto, molti anni dopo fu posto in piazza Municipio ad Orsara una lapide, ancora esistente, col nome degli uccisi e con l'epigrafe: Ai patrioti, della civica guardia nazionale, che, nella lotta contro il brigantaggio, per tradimento, caddero, il 23 giugno 1863, la fratellanza Orsarese di New York, nella gloria dei compiuti destini d'Italia, memore MCMXXI.
Per l'epoca piu recente si riferiscono le più importanti notizie di cronaca. Il 7 ottobre 1887, Daniele Bonassisi uccise sull'altare della chiesa parrocchiale l'arciprete Michele Spontarelli per una contestazione riguardante il Monte frumentario. Dopo la prima guerra mondiale si riaccese ad Orsara la questione agraria.


Nel 1920 il sindaco e il parroco presero l'iniziativa di distribuire ai contadini alcuni terreni boschivi e della parrocchia. Si formarono, con la partecipazione del pretore del luogo, le liste degli aventi diritto e, nel mese di maggio, gli assegnatari si recarono a ricevere le consegne in corteo, con a capo le autorità locali e la bandiera della Lega Cattolica. In seguito, vi furono altre agitazioni, senza grave incidenti fino a quando, pochi anni dopo, il duca di Bovino vendette agli Orsaresi le tenute di Magliano e Torre Guevara.
Nel dopoguerra, il sindaco Pietrantonio Loffredo procedette all'ultima quotizzazione e assegnazione dei terreni comunali.

Nei pressi della cittadina di Orsara in epoca romana esistevano. a Monte Squarciello " una villa "; a Masseria Magliano, 1 km a SE della Masseria Belladonna, una " grande villa con necropoli "; a Cervellino, 2.5 km ad E di Orsara e a S di Monte Vrecciaro, una " fattoria " da cui provengono un bel mosaico e una status acefala di un togato.
Proprio in questi giorni in località Cervellino, Fontana dell'Ospedale, luogo da cui provengono l'epigrafe riportata dal Mommsen nel C. I. L., la statua acefala custodita nel museo diocesano, è venuto alla luce uno stupendo esemplare di bronzetto votivo raffigurante Apollo pitico, l'Apollo che uccide il serpente avvinghiato ad un tronco. Il bronzetto, in ottimo stato di conservazione, è , però, privo dell'avambraccio sinistro e, forse, anche del tronco intorno a cui era attorcigliato il serpente. Il taglio degli occhi e la capigliatura lo ricollegano senza ombra di dubbio alla Magna Grecia, a quei coloni che su queste balze ebbero contatti con il popolo dauno, prima, e con i sannita poi. Esso inoltre, ci dà una ulteriore conferma che la zona era venerato in maniera particolare Apollo e che vi era un tempio. I bronzetti votivi, infatti, venivano collocati nei templi. Questo ritrovamento riveste una particolare importanza perché è strettamente legato agli altri ritrovamenti: l'ara di Apollo, la scritta ellenistica e l'OYNOKAY rinvenuto a ridosso dell'abitato. Ciò non solo avvalora l'ipotesi di un'origine antica di Orsara ma ci permette di sperare in ritrovamenti ancora più importanti se si sensibilizza l'opinione pubblica e se si avvia una campagna di scavi in alcune zone del territorio, non ancora profanate dalla mano dell'uomo.


Nelle prime decadi dell'Anno Mille alla testa del torrente Lavella non vera che "una spelonca" detta di "Ursaria". Non sappiamo, però, se in quella spelonca o grotta fosse gia nato il culto a S. Michele Arcangelo, che la lettera di Papa Gelasio I per un'altra località fà risalire alla fine del V secolo (492-496) e che la devozione dei Longobardi fissò anche nelle grotte piu profonde e sulle cime dei monti più alti.
Dai documenti dell'XI secolo in poi si sa che qui nel 1059 vi era il monastero dei S.S. Nicandro e Marciano;
1064 il monastero suddetto si trovava ai piedi di Monte Maggiore; 1080 il monastero è donato da Roberto il Guiscardo all'abate di Montecassino, Desiderio.
1125 ai tempi del vescovo di Troia Guglielmo II (normanno) 1'ex monastero dei S.S. Nicandro e Marciano diventa di S. Angelo di Ursaria e il suo primo abate e un certo Giuliano;
1131 il monastero di S. Angelo di Ursaria riceve una donazione di terreni, siti in località Montecalvello, dal troiano Bertolotto;
1139 Enea, medico troiano, e la moglie donano tutto quello che hanno al monastero di S. Angelo di Orsara;
1144 1'abate di S. Angelo di Orsara compra la foresta di Monte Calvello (presso Orsara);
11461'abate di S. Angelo di Orsara, Martino II, riceve in donazione altri terreni in contrada Monte Calvello;
1159 dopo una lite, il vescovo di Troia Gughelmo III 1'Almifico e 1'abate di S. Angelo di Orsara raggiungono un accordo;
1186 la troiana Caitelgrima dona tutto ciò che ha a Pietro, abate di S. Angelo di Orsara;
..." la chiesa di S. Nicandro con la terra in cui e fondata e con i seguenti confini: superiormente, cominciano dalla sorgente del Salice e vanno al torrente Lavella, salgono al Monte Procaso, costeggiano per un tratto la selva di Orsara e si girano fino a raggiungere il primitivo confine";
1290 (da un transunto dell'Archivio Capitolare di Troia): " Si proibisce a chiunque di molestare i beni che il monastero di S. Nicola di Troia possiede in Orsara ";
1343 papa Clemente VI (Pierre Rogier, francese) da Avignone incarica il canonico decano di Troia di indagare perche il clero di Orsara, di Pontalbanito e di Castelluccio Valmaggiore si rifiutano di obbedire a Ruggero Frezza, rettore di S. Nicola Calatrava di Troia e di S. Angelo di Orsara
(si tratta di un parente di Enrico Freccia da Ravello, vescovo di Troia dal 1341 al 1361?); 1347 Clemente VI ordina ad Enrico Frezza o Freccia, vescovo di Troia, di aprire un'inchiesta su Berardino Beraldi di S.Giorgio e su Mattia di Gesualdo abitanti rispettivamente a Monte Ilari e a Ripalonga, due castelli di Troia, perchè secondo le accuse del Cardinale presbitero Francesco Maria da Cosmedina, amministratore di S. Nicola di Troia e di S. Angelo di Orsara dell'Ordine dei Calatrava, commettono soprusi sui loro terreni. 1353 papa Innocenzo VI obbliga il clero di Orsara, di Castelluccio Valmaggiore, di Biccari, di Crepacuore e di Pontalbanito a sottomettersi al vescovo di Troia; 1360 gli arcipreti di Orsara, di Castelluccio Valmaggiore e di Pontalbanito vengono costretti ad ubbidire al vescovo di Troia; 1375 Guido, vescovo di Troia, raggiunge un accordo con il clero di Orsara e con quello di Castelluccio Valmaggiore; 1458 papa Pio II invia lettere apostoliche al clero di Orsara affinche si risottometta al troiano Giacomo Lombardo, vescovo di Troia (1435-1469); 1507 (dal rapporto di Don Mauro, cellerario di Montecassino): "...in lo territorio de Troya ey la prepositura de Sancta Nicandro la quale hora e facto castello et terra murata et bona cosa, la quale e membro del sacro monastero
(di Montecassino) et tenelo lo figlio de Antonello Pizzolo, allevo del duca de Calabria "; 1575 Prospero Rebiba, vescovo di Troia, nomina don Angelo la Pia arciprete di Orsara.
Come si può notare dai documenti: le liti avvennero solo tra il clero di Troia e quello di Orsara.


Molti Troiani, invece, donarono le loro proprietà anche al monastero di S. Angelo di Orsara.
Perciò si può affermare che il territorio di Orsara si è formato grazie alle donazioni dei cittadini di Troia, oltre che con i beni del monastero di S. Nicandro e della chiesa di S. Nicola.
Sul monastero di S. Nicandro e chiesa di S. Nicola.
Monastero e chiesa fin dal 1080 avevano i seguenti confini:
(S. Nicandro) " I confini di S. Nicandro partono ad Oriente dalla base di Monte Maggiore dal punto in cui 1'acqua si raccoglie con la lancella e vanno alla sorgente di S. Nicandro fino al torrente Lavella, ai piedi della selva di Orsara; poi salgono al monte fino alla riva pietrosa; dall'altra parte del monte, discendono al vallone e lo seguono fino alla via pubblica che va al monte Peselo; poi, seguendo la costa di Monte Maggiore, arrivano alla sorgente che si chiama del Salice; e lungo la costa vanno oltre S. Nicandro, proseguendo in mezzo a1 pantano detto " la fossa " e discendono al vallone da dove raggiungono il punto di partenza ".


S. Nicola): " I confini della chiesa di S. Nicola partono ad Oriente dalla stradella che viene dalla costa del tenimento di Troia e vanno fino al torrente Sannoro; attraverso la mezzana vanno lungo il torrente fino al guado di Troia dove la via pubblica; superano il guado fino alla terra di Basilio e da questa raggiungono le acque del torrente Cervaro dove si trovano le terre e le isole di Giovanni De Roccia; poi, dal torrente Cervaro raggiungono il guado di Giovanni Pipino o Pipe; e attraverso la stradella, vanno fino al torrente Sannoro da dove raggiungono il punto di partenza ".

La storiografia locale riferisce la nascita dell'Abbazia ai primi tempi del Cristianesimo e alcuni studiosi, dal Giustiniani (1804) al Tramonte (1975) collegano lo sviluppo del complesso monastico e del centro urbano al periodo longobardo, quando la zona era compresa nel Principato di Benevento.
Le iscrizioni, conservate presso la chiesa dell'Angelo non offrono prove certe dell'esistenza dell'Abbazia già nei primi anni dell'XI secolo: una delle due riporterebbe la data 1003, ma l'epigrafe ci è giunta frammentaria e il testo ci è pervenuto solo attraverso le citazioni della storiografia locale. Ad un esame paleografico entrambe le iscrizioni, che si riferiscono ad un certo Petrus Legionensis Abbas Ursare e menzionano una dedica della chiesa alla SS. Trinità, sono risultate databili fra XIII e XIV secolo. Nonostante l'incertezza sulle origini, da questi dati si può desumere che l'Abbazia e il centro urbano si svilupparono nel corso dell'XI secolo e furono partecipi degli importanti avvenimenti che interessarono quel territorio di confine fra Longobardi e Bizantini.
L'Abbazia dell'Angelo si è sviluppata come sostiene Cotugno da un originario cenobio fondato da monaci provenienti dall'oriente. Ad avvalorare la sua ipotesi, lo studioso ricorda la presenza di dipinti su tavola di tipo bizantino nella chiesa dell'Angelo. Era ancora possibile vederli, a quanto riportato da Del Giudice, fino a l5 agosto 1840: "All'altare maggiore di detta chiesa di S. Maria sovrasta la di lei veneranda effigie tenendo a destra quella dell'Arcangelo S. Michele ed a sinistra l'altare di S. Pietro Apostolo. Tali pitture sono antichissime e di elegante pennello greco sopra tavole".
Non trova riscontro documentario la notizia secondo la quale nello stesso anno egli avrebbe stabilito un presidio ad Orsara ed approntato le difese contro Troia nella zona oggi detto Guardiola, facendo costruire, dopo la disfatta dei Bizantini, la Chiesa di San Salvatore. Lo stesso si può dire circa la notizia secondo la quale quando Melo si rifugiò per la prima volta in Germania (prima del 1015), Datto avrebbe trovato asilo a Montecassino presso l'Abate Atenolfo per "relazioni favorevoli dell'Abbazia di Sant'Angelo di Orsara".
Da insediamenti di vario tipo compare per la prima volta nel 1125 il Monastero di Sant'Angelo di Orsara e, non a caso, fra le carte di Troia,centro importante e sede vescovile più vicina; l'abbazia deve aver avuto il suo momento d'oro proprio nel XII secolo.


Il 5 dicembre 1127 Onorio II, concedendo diritti e privilegi agli abitanti di Troia, imponeva che tutti i troiani vivessero sotto un'unica legge ed un unico signore; sottraeva a questi obblighi gli uomini pertinenti ai vescovi o abati di S.Nicola, S. Angelo de Ursaria e San Nicola e San Angelo de Rodingo. L'abate di Orsara era quindi indipendente da Troia.
Nel già citato documento del 1125, Guglielmo, vescovo di Troia, chiedeva all'Abate MARTINO di pagare un diritto episcopale annuale di due Romanati, nella ricorrenza dell'Assunzione, per la dedicazione della Chiesa di S. Maria di Montecalvello, di pertinenza dell'Abbazia, e si riservava la possibilità di aumentarlo.
L'abate è citato nel Catalogo dei Baroni ed esercita quindi funzioni signorili, mai sopita è la conflittualità con il Vescovo di Troia.Nel marzo 1159 l'Abate PELAGIO, per porre fine alla contesa sorta sulla questione delle offerte con il Vescovo di Troia Guglielmo III, gli dona una casa, un orto e delle vigne di sua proprietà, site a Foggia. E' opportuno soffermarsi sul documento in quanto, oltre ad apprendere che vecchi patti erano stati già stipulati dal predecessore di Pelagio, GIULIANO I, si viene a sapere che l'Abbazia aveva la giurisdizione su una casa fatta costruire nel territorio di Foggia dall'Abate Martino in onore della Santa Croce "sine episcopali et canonicorum auctoritate" con annesso cimitero. Nel documento si dice inoltre che al vescovo non spettava niente di ciò che era stato lasciato nel Monastero dai servi e dagli uomini "in Hospitalibus nostris obeuntes".
L'Abbazia, sottoposta direttamente a Roma e indipendente dal Vescovo, quale Abbazia Nullius, è indicata nel LIBER CENSUUM SANCTAE ROMANAE ECCLESIAE in cui, nell'anno 1192, sotto il pontificato di Celestino III, era tassata per un'oncia d'oro (48); è elencata poi al ventiseiesimo posto fra i "Nomina Abbatiarum et Canonicorum Regularium Sancti Petri ".
Una tappa fondamentale nella vicenda storica dell'Abbazia viene introdotta da un documento redatto a Rieti per conto di Papa Onorio III il 28 Agosto 1225: il pontefice conferma al Vescovo Martino e al Capitolo di Zamora in Spagna, alla presenza di numerosi testimoni, la vendita da parte dell'Abate e del Monastero di Sant'Angelo di Ursaria, della città di Bamba, nella "Valle de Scema" in diocesi di Zamora. I legami dell'Abbazia con la penisola Iberica si stringono ulteriormente nel 1229: il 29 marzo, da Perugia, Gregorio IX scrive al Maestro e ai Frati della Milizia dei Calatrava concedendo loro il monastero "S. Angeli de Ursarie Troiane diocesi", su richiesta della Regina di Leon, Teresa e delle sue figlie Sancia e Dulcia avanzata per mezzo di frate Pelagio, Vescovo Albanese e di Egidio,Cardinale Diacono dei Santi Cosma e Damiano. Il Papa,nella speranza che questo affidamento serva ad ampliare ed ingrandire il monastero, invita l'Ordine dei Cavalieri di Calatrava ad inviare ad Orsara chierici e laici dell'Ordine, che vi si stabiliscano e vi diffondano il loro stile di vita religiosa.


Nel 1295 il Monastero non era più nelle mani dei Calatrava in quanto Bonifacio VIII il 2 febbraio di quell'anno lo concesse a vita all'Arcivescovo di Trani Filippo con tutti i beni che erano stati dei Calatrava nelle città di Brindisi, Troia, Orsara, Fragagnano e altrove in Puglia, Sicilia, Calabria e Romagna;
L'Arcivescovo Filippo morì subito dopo. Poco dopo, fra il 1298 e il 1300 il Gran Maestro Spagnolo dell'Ordine di Calatrava, GARCIA LOPEZ DE PADILLA, ricevette i feudi spagnoli di Colledo, Sabiote e Cogolludo, oltre alla città di Santo Stefano di Aznatoraf in Siria in cambio "del Monastero e Chiesa di Sant'Angelo di Orsara " da Ferdinando IV di Leon e Castiglia, il quale li avrebbe acquistati per la madre Maria. La storiografia locale afferma che in questo modo si sarebbe costituito il diritto di Regio Patronato che avrebbe comportato la nomina regia dell'Abate Rettore commendatore ma riferisce pure che nel 1300 la Domus
S. Angeli di Orsara era compresa nell'elenco delle Chiese di Regio Patronato fatto compilare dal re di Napoli Carlo II d'Angiò in quell'anno.
Numerose furono nei secoli le dispute con l'Arcivescovo di Troia per conservare l'indipendenza da quella sede vescovile. Le fonti documentarie sono scarse e l'unico aiuto è fornito dalla storiografia locale che, avendo un interesse immediato e partigiano nel ricostruire la storia dell'autonomia dell'Istituto attraverso i secoli, ricercò, studiò ed elencò minuziosamente tutto quanto poteva essere utile allo scopo.
I Re di Napoli vengono spesso citati dagli storiografi locali nelle vicende relative alla nomina dei Rettori e degli amministratori locali, fino alla descrizione di una complicata serie di avvenimenti in seguito alla quale Ferdinando I d'Aragona, all'indomani della battaglia del Sannoro, avrebbe concesso l'Abbazia al Vescovo di Troia intorno al 1464. Da questo momento fino per lo meno al 1762 pare che rettori dell'Abbazia di Sant'Angelo siano stati sempre, nominati dal Re, i Vescovi di Troia.
Orsara si ingrandì tra il VI e VII secolo d. C. Quando vi si rifugiarono gli abitanti di Ecana. Questa città posta circa due chilometri ad est dell'odierna Troia era un importante nodo della Via Trajana; fu distrutta alla fine del VI secolo dai Longobardi. Gli Ecanesi fuggiaschi portarono ad Orsara le reliquie della loro chiesa ed incrementarono la comunità cristiana che vi si era costituita fin dal IV-V secolo. L'abbazia si costituì ad Orsara successivamente; infatti, data la grande importanza che assunse, non avrebbe mancato di dare nome al paese se si fosse costituita prima del centro abitato.
Il monastero sembra sia stato fondato nell'VIII secolo, quando la zona era ancora controllata dal Bizantini, da monaci venuti dall'Oriente per sfuggire alle persecuzioni della Guerra Iconoclasta (726-843). L'insediamento fu favorito dalle grotte naturali ivi esistenti ed, in particolare, da quella ancora oggi dedicata al culto di S. Michele. Molti indizi confermano che fondatori del monastero furono i monaci orientali, impropriamente detti Basiliani solo perchè si ispiravano agli insegnamenti di S. Basilio il Grande (330-379 d.C.).
Fra questi indizi si indicano:
- il culto di S. Michele, di origine orientale e molto praticato nei cenobi bizantini, che vi dedicavano, possibilmente, una grotta;
- il fatto che i territori appartenenti all'abbazia erano denominati Laura (oggi la località è detta Montagna) considerato che laure erano chiamati i cenobi basiliani;
- l'esenzione dell'abbazia dalla giurisdizione dei vescovi vicini di Ariano Irpino, Bovino e Troia (questi vescovati, peraltro, furono costituiti tra il X e l'XI secolo e, quindi, dopo il monastero di Orsara);
- alcune caratteristiche peculiari delle chiese bizantine, come l'abside rivolto ad oriente, ancora rilevabili nella chiesa abbaziale (oggi detta Annunziata) di Orsara;
- il ricordo che in questa chiesa esistevano dipinti bizantini su tavole.


Nel 1009 Melo da Bari e il cognato Datto si ribellarono ai Bizantini e si allearono con i Longobardi.
Datto, aiutato dall'abate di Orsara che lo presentò ad Atenolfo, abate di Montecassino, ottenne dal principe Pandolfo IV di Capua la Torre del Garigliano in cui si fortificò.
Le notizie fin qui esposte sono solo tradizioni non documentate storicamente. Orsara viene citata la prima volta, in un diploma dell'anno 1024 col quale il catapano bizantino Basilio Bogiano fissò i confini di Troia da lui fondata o, piuttosto, fortificata. Il confine indicato nel documento passava per la grotta di Orsara, onde il paese, presumibilmente possesso dei Longobardi, rimaneva fuori dalla giurisdizione di Troia.
I monasteri bizantini più importanti, anche se dovettero adottare il rito latino, conservarono la loro autonomia e rimasero sottratti dalla giurisdizione del vescovo. Ciò accadde anche per Orsara che, in tutti i diplomi dell'XI e XII secolo, non è mai compresa nella giurisdizione civile o ecclesiastica di Troia e ne è dichiarata espressamente separata nella bolla data dal papa Onorio II in data 9 dicembre 1127. Orsara non è neppure riportata fra i possedimenti incisi sulla porta di bronzo di Montecassino; per cui è evidente la sua assoluta autonomia sia dal vescovo che da altre autorità monastiche.
Altri documenti confermano che l'Abate di Orsara non era soggetto alla giurisdizione del vescovo (Abbas - exemptus aut nullius), del quale, peraltro, aveva il privilegio di usare le insegne (pallio, mitra, baculo. coturni ed anello); perciò, dipendeva direttamente dalla S. Sede cui pagava il censo annuo di un'oncia d'oro. Non si sa quando l'abbazia ebbe questi privilegi, ma è certo che li aveva nella prima metà del XII secolo. All'inizio del XII secolo le abbazie exemptae erano solo poche, scelte fra quelle più importanti. Le concessioni di questo privilegio aumentarono di molto nel corso del XII secolo; ciò non ostante dal "Liber censuum S. R. E." si rileva che, nel 1192, solo 62 monasteri dell' Italia meridionale erano exempti.In un documento del 1159 vi è un riferimento a Giuliano come primo Abate di Orsara, contemporaneo del Vescovo Guglielmo II normanno di Troia (1106-1141), per cui si può ritenere che alla fine dell' XI secolo, un nuovo ordine monastico si insediò nell' Abbazia di Orsara sostituendosi ai Basiliani.
Oltre il potere economico, l'Abate di Orsara aveva una grande autorità spirituale come si desume dalle numerose donazioni che gli venivano fatte e dalle contestazioni contro il Vescovo di Troia, che cercava di ingerirsi nei vasti possedimenti dell'abbazia. Dal Catalogo del Baroni, che si ritiene compilato all'epoca del re Guglielmo II il Buono (1153-1189), si rileva che l'abate di Orsara (Abbas sanctae Ursariae) era anche feudatario, per cui accentrava il potere ecclesiastico e laico sul paese.


Con bolla in data 28 marzo 1229, il papa Gregorio IX (1227-41), accogliendo la richiesta di Teresa, moglie di Alfonso IX re di Leon, e delle figlie Sancia e Dulcia, concesse l'abbazia di Orsara all'ordine monastico militare dei Calatrava, di cui era gran maestro Gonzalo Yanez De Novoa. Nella bolla è precisato che l'abbazia era già in possesso degli Spagnoli (.....monasterium sancti Angeli de Ursaria .......de Hyspanis fuit hactenus ordinatum....).
In seguito il monastero non fu più abitato dai monaci e l'Abbazia fu solo un beneficio ecclesiastico e cioè un vasto complesso di beni destinato a dissolversi. Nel primo periodo l'abbazia fu data in "commenda" ad alti personaggi della S. Sede; in seguito, affievolendosi il ricordo della passata grandezza, fu concessa a persone meno importanti. Durante gli anni (1285-87) in cui il re Carlo II d'Angiò (1248-1309) era prigioniero in Sicilia e la reggenza del regno di Napoli era tenuta da Roberto d'Artois, la Domus S. Angeli de Ursaria era data in commenda al cardinale di S. Nicola in Carcere Tulliano, che l'amministrava tramite il suo vicario frate Giacomo Bontrala. Il cardinale era Benadetto Caetani di Anagni;
Benadetto Caetani di Anagni dopo che il 16 dicembre 1294 fu eletto papa col nome di Bonifacio VIII, concesse a Filippo, arcivescovo di Trani, l'Abbazia di Orsara con tutti i possedimenti calatravensi d'Italia.Filippo di Trani mori nel 1295 ed i possedimenti dei Calatrava tornarono nella disponibilità della S. Sede.
La concessione al Caetani e il diploma di Carlo, figlio del re Roberto d'Angiò, che nel 1322 riconobbe il possesso di questa chiesa alla S. Sede, sono le prime notizie di un'altra chiesa, diversa da quella abbaziale, che si avviava ad essere la più frequentata dalla popolazione. Francesco Caetani mori nel 1317 e non furono nominati altri commendatori.
La concessione ai "commedatori" dava a questi ultimi solo il diritto di amministrare e godere i frutti dei beni abbaziali, la cui proprietà restava sempre ai Calatrava.
Il 17 aprile del 1303 nella fortezza di Calatrava in Spagna, il Gran Maestro Garzia Lopez De Padilla cedette l'Abbazia di Orsara a Ferdinando IV, re di Leon e di Castiglia (1285-1312); quest'ultimo l'acquistò per la madre Maria, e concesse ai Calatrava la fortezza di S. Stefano Aznatoraf ed i feudi spagnoli di Corita, Colledo, Sabiote e Cogolludo. Con ciò si venne a costituire sull'abbazia di Orsara il Diritto di Patronato, che dava alla regina Maria il diritto di nominare i rettore.


Mancano notizie di come questo diritto sia pervenuto al monarchi di Napoli, cui si trova attribuito nei secoli successivi;
Negli anni successivi amministratore dall'abbazia di Orsara era Raimondo di Calasanzia, la sua qualifica di milite fa pensare che abbia ricevuto solo un incarico provvisorio dal re. Fino a quest'epoca si hanno solo notizie dell'abbazia data la sua importanza preminente come centro di potere laico e spirituale.
Durante il regno di Roberto D'Angiò, l'Universitas di Orsara, nel 1335 ottenne dal re il privilegio di due fiere annuali in occasione delle festività patronati di S. Michele (8 maggio e 29 settembre. Vi furono anche le prime rivendicazioni dei contadini di Orsara contro i vescovi di Bovino e di Troia per il possesso dei territori e contro il feudatario Berardo di S. Giorgio per l'esercizio degli usi civici sul territorio di Montellere.
Morto il Fontanarosa, il re Roberto d'Angiò (1309-43) nominò Leonardo Fulcigno, che fu il primo rettore di Orsara di nomina regia. Lo stesso re, nel 1342 alla morte del Fulcigno, nominò il successore Lorenzo Pulderico. Quest'ultimo dovette affrontare le contestazioni di Ruggiero ed Enrico Frezza, che forse erano legati da vincolo di parentela come il cognome sembra indicare. Ruggiero Frezza, di cui si ha solo questa notizia assumeva di essere rettore di S. Angelo di Orsara e di S. Nicola Calatrava di Troia; non è indicato da chi avrebbe ricevuto la carica ed è presumibile che sia stata data dal vescovo.
Comunque, la Domus S. Angeli, anche se privata di questi possedimenti, conservava la sua autonomia; infatti, nel 1366, il Monasterium De Ursaria risultava ancora dipendere direttamente dalla S. Sede, cui pagava sempre il censo di un'oncia d'oro e, nel 1376, la stessa regina Giovanna I ne nominò rettore Cesare Brancaccio. All'epoca del re Carlo III di Durazzo (1345-86), 1'abbazia di Orsara, al pari di tanti altri benefici ecclesiastici, subì molte spoliazioni ad opera del conte di Vico; ma non perdette la sua autonomia che si trova riaffermata fino al XIX secolo. Perciò, non ha fondamento la notizia, riferita dagli storici troiani, che il Papa Innocenzo VII(1404-5) l'avrebbe unita al vescovato di Troia per compensarlo dei danni che anch'esso allora subì.
L'Abbazia di Orsara, ormai consistente solo in notevoli possedimenti, fu data, nel 1462, al vescovo troiano Giacomo Lombardi dal re Ferdinando I; si trattò di una ricompensa per l'aiuto che il Lombardi aveva dato al re in occasione della resa di Troia. Nel 1464, lo stesso re concesse l'Abbazia al Vescovo arianese Giacomo Contillo ( Jacobus Cavallina Porfida); ma questa concessione fu revocata il 19 aprile 1464 su ricorso del Lombardi, che ricordò al re quella precedente. Cosicchè l'abbazia pur conservando formalmente la sua autonomia, da quest'epoca cominciò ad essere amministrata dai vescovi di Troia quali rettori di nomina regia.


La contestazione del clero e della popolazione di Orsara contro il vescovo troiano per ripristinare pienamente l'autorità dell'Abbazia di S. Angelo.
Queste rivendicazioni erano state sempre presenti; ma si era riuscito a tenerle frenate sia per l'autoritarismo dei tempi e sia per il tatto del vescovi.
Nel XVIII secolo, il vescovo di Troia, Pietro Faccolli, era riuscito a frenare la contestazione ordinando la compilazione degli statuti del clero di Orsara e concedendo ai canonici orsaresi il diritto di usare la cappa di pelle tigrata, l'almuzia, il rocchetto ed i nastri viola; il relativo provvedimento vescovile del 20 gennaio 1749 era stato approvato dal papa il 7 febbraio 1749 e dal re il 23 febbraio 1750.
Il vescovo Marco De Simone, che successe al Faccolli nel 1743, non seppe contenere la contestazione. Le rivendicazioni divennero aspre anche (e, forse, soprattutto) perchè si trovarono ad essere guidate dai fratelli Fattore.
Il Capitolo di Orsara, per anni, ha sempre rivendicato la sua indipendenza nei confronti delle pretese del Vescovo di Troia riallacciandosi alla tradizione di passato splendore e autonomia dell'Istituto Abbaziale. In questo contesto si inserisce la vicenda di D. FRANCESCANTONIO FATTORE unico canonico di Orsara che abbia ottenuto il Rettorato dell'antica Abbazia nel 1769. Alla sua morte (12 Novembre 1784) l'Abbazia sarebbe tornata ai vescovi di Troia.


La famiglia Fattore, col padre Salvatore, era originaria di Castellucclo Valmaggiore (in un esposto al re, il vescovo afferma che ne era stata scacciata). I fratelli erano sei, tutti in buona posizione sociale: Francescantonio e Pasquale erano preti; Pietro e Giovanni erano impiegati; Alessandro era medico e Gennaro faceva l'avvocato a Napoli (il vescovo lo qualifica con lo spregiativo di paglietto). Francescantonio Fattore era un tipo irrequieto e già aveva avuto contrasti col parroco Giovanni Spontarelli. Nel 1741, mentre quest'ultimo faceva la predica domenicale, il Fattore aveva fatto suonare la campana a morto e la gente aveva abbandonato la chiesa piantando in asso il predicatore. Nel 1745, lo stesso Fattore (calunniosamente, secondo il vescovo) aveva accusato il parroco di essere il mandante di due archibugiate sparategli contro. C'era una scissione nel clero di Orsara con una corrente capeggiata dal parroco e favorevole al vescovo e un'altra capeggiata dal Fattore, che si faceva forte dell'appoggio popolare; tra i fautori di quest'ultimo c'era anche Michele Susca, priore del locale convento S. Domenico. Va anche notato che, entrambe le correnti si ricollegavano idealmente all'antica abbazia perchè l'arciprete Giovanni Spontarelli si fregiava il titolo di abate. Nelle molte carte relative alla controversia vi sono pochissimi spunti storici. Ciò fa ritenere che le ragioni della contestazione erano prettamente economiche e riguardavano il clero; in infatti, l'abbazia era ancora proprietaria di oltre 500 ettari di terreno ed è ovvio che le ricche rendite erano ambite sia dal vescovo che già ne godeva e sia dal clero di Orsara, che le rivendicava. La polazione era contro il vescovo per motivi campanilistici. Un atto arrogante dei vescovo De Simone tramutò la contestazione in lotta aperta. I canonici Francescantonio Fattore e Saverio Fragasso, forse invitati, si presentarono a Troia per un chiarimento col vescovo; ma costui non volle riceverli. Furono ricevuti dal cancelliere del vescovo, il quale li minacciò di scomunica e di arresto, se avessero persistito nella loro contestazione, e, inasprendosi la discussione, li svilaneggiò e li fece addirittura bastonare. Tornato ad Orsara, il Fattore, appoggiato dal clero locale e dalla popolazione, riaffermò l'autonomia della Chiesa di Orsara e prese posseso dei magazzini dove erano depositati i beni (soprattutto derrate) dell'abbazia. Il comportamento del vescovo, quindi, fu maldestro perchè la violenza rinsalda una pretesa sostenuta dalla forza, ma pregiudica irrimediabilmente quella già debole.
A questo punto intervenne Gennaro Fattore, che portò la contestazione davanti al re di Napoli, ponendo in evidenza le prevaricazioni e le illegalità poste in essere dal vescovo. Quest'ultimo, da parte sua, accusa Francescantonio di "sortilegj, dalla quale fede potrebbero sortire condanne capitali" ; di non riconoscere l'autorità del papa e del vescovo; di istigare il popolo alla ribellione; di estorsione; di esercizio abusivo dell'arte medica e di altri reati, fra cui quello di "oltraggio al ritratto di Sua Maestà". Le accuse del vescovo erano condite di ingiurie e di pettegolezzi e ciò, più che rafforzare, indeboliva il valore delle sue argomentazioni.


La controversia si chiuse con un provvedimento salomonico, emesso il 17 Aprile del 1769 da re Ferdinando I Borbone: si riconobbe l'autonomia dell'Abbazia di S. Angelo, della quale Francescantonio Fattore prese possesso il 13 ottobre I769 come rettore di nomina regia; nel contempo si confermò che la chiesa di Orsara, distinta dall'Abbazia, rimaneva soggetta al vescovo di Troia.
Il 12 giugno 1762 mori l'arciprete Giovanni Spontarelli dopo essersi riconciliato con Francescantonio Fattore; quest'ultimo morì il 13 novembre 1784 dopo essersi anche lui riconciliato con 1'arciprete Pasquale Ricci. Sembra, quindi, che la questione dell'abbazia fosse ormai sopita; infatti, il 9 settembre 1786, il vescovo Giacomo Onorati riuscì ad ottenere la concessione dell'Abbazia, sia pure con la vecchia clausola "toties quoties" (nomina ad ogni suo successore). Restavano anche confermati il patronato del re e l'autonomia dell'abbazia.
Il 14 marzo del 1805 la concessione fu data al nuovo vescovo Michele Palmieri: ma, nel 1824, il suo successore Antonio Maria Monforte non ebbe bisogno di conferma perchè il Concordato del 20 luglio 1818 gli dava il diritto di amministrazione come vescovo viciniore.
Le rivendicazioni degli Orsaresi continuarono. Il 23 agosto 1826, il Capitolo di Orsara inizia, davanti al Tribunale di Lucera, una causa contro il vescovo Monforte e, nel 1840, assistita da Giovan Clemente De Stefano, portò davanti all'Alta Commissione esecutrice del Concordato la questione della collegialità della chiesa orsarese (va notato che in ordine progressivo di importanza, le chiese erano parrocchiali, collegiali, cattedrali, metropolitane e patriarcali).
Anche la Nunziatura Apostolica fu investita della questione e, con un provvedimento del 4 agosto 1841, dichiarò che la chiesa di Orsara era recettizia (cioè era un ente il cui patrimonio era amministrato collettivamente dal Clero locale).


E' evidente che queste azioni legali miravano solo ad un utile immediato; ma erano scoordinate e destinate all'insuccesso per quanto riguardava l'autonomia dell'antica abbazia ed il conseguente godimento dei terreni abbaziali. La questione fu definita dalla Commissione esecutrice del concordato con un rescritto dell' 11 maggio 1855, che incorporò definitivamente 1'Abbazia di Orsara nel vescovado di Troia. Gli Orsaresi continuarono a rivendicare i diritti della loro abbazia;
La questione era ancora viva quando, il 12 giugno 1906, fu inoltrato al re di cui si affermava il diritto di patronato, un esposto del canonico Michele Guiducci con note storiche di Gaetano Cappetta. Dello stesso anno è uno studio storico-giuridico, inedito, di Vincenzo Del Giudice, all'epoca pretore di Orsara.
Evidentemente ancora non ci si rendeva conto che l'Abbazia di S. Angelo ormai apparteneva solo al passato e la storia ne era il suo vero patrimonio.
A questi scritti si può muovere un appunto; essi facendo dell'indagine storica solo lo sfondo per rivendicare dei diritti, non utilizzarono compiutamente documenti che, all'epoca, potevano essere reperiti.

A 5 km da Troia, in direzione Sud - Est, sulla riva sinistra del torrente Sannoro esisteva fin dall'Alto Medio Evo una "corte" di nome Ripa Lunga, sorta molto probabilmente intorno ad una "cella o chiesetta rurale", dedicata a S. Pietro. Nella prima metà dell'XI secolo, al tempo di Roberto il Guiscado, il normanno Nilo o Niello la fortifico e la battezzò Castellum Novum.


Nel 1064, poco prima di entrare ufficialmente in Troia, Roberto il Guiscardo donò Ripa Lunga o Castellum Novum al Monastero di S. Sofia di Benevento. Ma nel 1067 papa Alessandro II dichiarò la chiesa di Troia libera da quella di Benevento e regalò a Troia sia l'Oppidum Biccharum che il casale di Ripalonga.
Nel 1127 anche il casalino di Campo Sualdo (molto probabilmente derivante da Campus Valdus o Vadi, cioè "Campo del Guado presso il torrente Sannoro" in cui si erano accampati nei tempi lontani Annibale con suoi "castra Hannibalis" e nel 1022 Enrico II di Germania e Papa Benedetto VIII venuti all'assedio di Troia) risultava ancora di proprietà del normanno Guglielmo II, vescovo di Troia.


Quasi certamente il casale di Ripalonga restò in piedi fino al terremoto del 1361. Poi i suoi abitanti e quelli di Monte Calvello si trasferirono Orsara, trasformandolo in "Castello murato", come dice il benedettino Mauro nel suo rapporto del 1507.


Il tutto sarebbe confermato, secondo noi, dalla leggenda popolare riprodotta sulla porta bronzea della chiesa di Orsara adiacente alla "Grotta di S. Michele". La leggenda narra di un presunto rapimento di S. Michele da parte dei Troiani. Ma la statua del Santo, giunta al torrente Sannoro, si appesantì tanto che fu impossibile rimuoverla. Divenne leggera come una piuma solo quando si decise di trasportarla ad Orsara. Leggenda, che potrebbe contenere degli elementi storici, è da riferirsi, però, al trasferimento degli abitanti di Ripalonga e di Monte Calvello ad Orsara dopo il terremoto del 1361.


Zona Ripalonga: In questa zona il torrente Sannoro raggiunge il massimo della sua larghezza: 13,5m;
Il letto si presenta ciottoloso sabbioso;
Inoltre si stanno costruendo una serie di canali che immettono direttamente nel torrente.



In evidenza

Archivio notizie Altre notizie

Il sito istituzionale del Comune di Orsara di Puglia è un progetto realizzato da Parsec 3.26 S.r.l.

Torna all'inizio del contenuto

Questo sito utilizza i cookie per il funzionamento e per offrirti una migliore esperienza. I cookie tecnici e i cookie utilizzati per fini statistici sono già stati impostati. Per ulteriori dettagli sui cookie, compresi quelli terze parti, e su come gestirne le impostazioni consulta la Cookie Policy.

Cliccando ACCETTO acconsenti all’utilizzo dei cookie.