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Dal Testo ”Orsara di Puglia” di Leonardo Cotugno

 

Più notizie di cronaca si conoscono per il XVIII secolo grazie alle annotazioni contenute nei registri parrocchiali. Se ne trascrivono alcune per avere con immediatezza, un panorama della società orsarese dell'epoca.

 

Il 14 novembre 1711 in località Pescorognone fu rapinato ed ucciso il commerciante Giuseppe Patruno di Corato; l'assassino, Gioacchino Calabrese fu condannato a morte. Nel registro è annotato: 25 febbraio 1712 sabbato (sicl)... Gioacchino Calabrese figlio di Giovanni e di Porzia Caporale morto appiccato fuori la Porta di S. Pietro condannato ad morte da questa Corte di Orsara ed essendo stato conuinto di omicidio e furto in persona di Giuseppe Patruno..... essendo duca di Bovino regnante D. Inico de Guevara, essendosi il suddetto confessato a D. Paolo di Castelnuouo della religione di S.Francesco..... D. Emilio Giacomo Cavalieri uescouo di Troia, l'aueua assistito in Orsara cinque giorni....ed è morto con atti di contrizione da uero cristiano".

Alla data 5 ottobre 1712 è annotato: "Dionigi Spadaro, figlio di Gian Antonio e Milena Porreca, sacerdote di questa terra di Orsara di anni 42 di sua età, era morto a causa di essergli stata tirata una pistolata da gente forestiera non conosciuta vicino la Porta di S. Pietro mentre ritornaua da celebrare la messa da S. Maria della Neve e quantum il colpo riceuto in testa doueua farlo morire instante pure portato in casa e fattolo sua confessione.... uerso l'ore 22 spirò".

In data 21 aprile 1722, "Eleonora Cappetta di anni 34 è morta in campagna e propriamente nella Scampata..., doue, portata da suo marito Antonio Tozza sotto pretesto di andare a fare le foglie (verdure), dal medesimo fu scannata con due colpi di stile uno alla gola e l'altro alla parte del cuore senza esserci stata causa alcuna essendo stata la detta Eleonora donna onoratissima e di buona coscienza".

 

Durante la festa della Madonna Neve era uso fare la sacra rappresentazione di un episodio biblico con attori improvvisati, che, armati, scorazzavano a cavallo per le vie del paese. Durante una di queste esibizioni, uno spettatore avvertì un attore che la cinghia della sella si era allentata. La parola cinghiato era offensive perchè si dava a chi aveva una sorella di dubbia moralità; perciò, il cavaliere si scagliò contro lo spettatore inseguendolo fin nella chiesa ed uccidendolo. Il fatto sarebbe avvenuto il 5 agosto 1688; ma potrebbe essere quello così riportato: "A dì 6 agosto 1722 Girardo Miscia della terra di S. Agata di Puglia di anni 28 è morto in questa terra di Orsara con un colpo di spade in tempo che staua facendo orazione nella cappella di S. Maria della Neue giorno della di lei festività, essendo stato insidiato il detto da mastro Felice de Finis per una parola quasi innocence detta dal sopradetto Girardo". Questo fatto indusse le autorità a vietare le sacre rappresentazioni ed anche la festività non fu più celebrata fino al 1799; in quest'anno, fu ripristinata perchè, il 29 maggio precedente, mentre si portava in processione la statua della Madonna per implorare la pioggia, questa era effettivamente venuta ed i raccolti erano stati abbondanti.

Alla data 16 gennaio 1726, si legge : Gio.Batta Alfani...terra di Gifoni..... li fu tirato una pietra nella tempia da Gio. Sasso uicino S. Domenico...dalle ore che ebbe il colpo, fino ad ore 15, stiede in retto senso fino alle ore 23, in cui preso da delirio.... alle due di notte se ne morì_...ed il reo fu preso carcerato alle tre, e la mattina fu portato a Bouino ".

Sotto la data 17 Febraro 1726 si ha: "Catarina Di Stasi...è morta ammazzata di anni 34 incirca...a caggione che, andando in Troia il giorno di domenica fu assalita, al principio della via della Cupa vicino S. Rocco, da Domenica Argentieri di Orsara con piu colpi di pietra in testa la restò morta fino a lauarsi le mani nel sangue di detta Catarina, per motivo di odio che fra esse vi era, stante la sopradetta Catarina aueua auto pratica col marito di detta Domenica di nome Nicolò Ruscitelli della terra di Iliceto, quale per essere inuischiato con detta Catarina, lasciò sua moglie e da questo ebbe l'origine la morte di Catarina, la quale stiede tre giorni insepolta fin tanto che uenne la licenza di mons. di Troia stante si trouaua per pubblico cedolone scommunicata e doppo che fu il suo cadauere assotto, li fu data sepoltura nella chiesa matrice ".

 

Il 12 maggio 1726, la chiesa di Orsara fu interdetta perchè gli ecclesiastici erano morosi non avendo pagato 52 ducati di decime arretrate; per l'esazione coattiva il vescovo inviò ad Orsara i collettori Giovanni Rossi e Pietro Zottola; alcuni pagarono 5 ducati e un tarì; gli altri furono sequestrati nelle loro case fino a pigliarsi le coltri di sopra li letti e le cappe con altri scempi.

Il primo giugno 1726 alle ore 17 "Saluatore Quintino, figlio di Vincenzo e di Isabella Perreca (uidua) di Orsara in età di anni noue, è morto nel campanile di questa chiesa di S. Nicolò senza sacramenti, mentre ritrouandosi dentro detto campanile da sotto per sonare le campane (per evitare un'imminente tempesta d'aria, al primo suono cadde la campana di mezzo per essersi rotte le maniche... che si stimò mancanza dell'artefice Francesco Tarantino campanaro di Orsara e nel cadere detta campana di cantara dieci) col labro colpì il capo di detto figliuolo, in tal maniera che si ritrouò il capo deviso in due parti, ed il cerebro uscito da fuora, (altri ragazzi rimasero feriti)...cadendo detta campana occupò la grada per doue s'andaua a detto campanile e ui concorse tutta la gente che piangeua dentro e fuora la chiesa mentre non sapendosi chi era morto perchè restarono rinserrati dentro il campanile fu bisogno che più persone con le scale andassero per il finestrone per dare aiuto a quelli che erano rimasti uivi (vivi) e per sottrarre quelli...feriti e morti....".

Ad Orsara la prima campana di cui si ha notizia pesava sette cantari e mezzo; fu inaugurata dal vescovo Tommaso De Marco il 23 dicembre 1692 mentre era arciprete Vincenzo Staffieri. Un'altra campana, del peso di sette contari, fu fusa il 20 agosto 1725 da Gio Batta Tarantino e fu istallata il 24 dicembre 1728; la legna occorrente per la fusione fu offerta dalla popolazione; il fonditore ebbe un compenso di 70 ducati. Giovan Domenico Tarantino, il 20 dicembre 1742, costruì un'altra campana di sette cantari impiegando 50 rotoli di rame; il prezzo di 60 ducati fu pagato dall'università di cui era sindaco Diego De Respinis. I Tarantino risiedevano ad Orsara, ma erano originari di S.Angelo dei Lombardi. L'uso di suonare le campane per scongiurare le tempeste è attestato anche per Bovino.

 

Il 7 agosto 1727 "Domenico Pinto... di anni 22...., stante dormendo la notte in campagna nella sua aia che guardava l'orzo, fu da Vincenzo Di Martino suo amico, assalito e con più colpi di una grossa mazza, dando alle tempie e parte alla mascella ed al petto, lo fracassò tutto in tal maniera che, tra lo spazio di noue giorni che campò senza mai cibarsi, .....se ne mori ".

Giovanni Saura di anni 27 incirca.... la sua morte fu caggionata da un colpo di schioppettata la notte del 7 agosto... nel tempo che guardava la sua aia e fu morto per abbaglio e per non dar uoce (voce) a parenti che stauano in esso luogo, mentre auendo uoluto il detto Giovanni fare una burla ai detti suoi parenti, uno di essi chiamato Domenico Cuciardi, cognato di detto morto, dubbitando (sic!) che non fosse stato qualche suo inimico, alzò la mano e tirò il colpo a detto suo cognato che, essendo stato ferito a morte nel petto con due palle, disse: "ah che aj facto" che doppo ore 14 se ne mori ".

Nel 1733, in una causa dinanzi alla Regia Udienza di Lucera, per contestare le pretese dei trojani sui territori di Crepacore e Ripalonga, intervennero il sindaco di Orsara Nicolò Fresina ed i consiglieri Antonio Dedda, Angelo Tozzi e Gabriele Trivi.

 

In data 20 marzo 1745 è annotato: -Giuseppe Biccari di anni 28 incirca; la sua morte è stata caggionata come auendo disertato per essere soldato del re di Napoli ed essendo stato pigliato da questo gouernatore e posto nella casa della leva ... e ritrouandosi legato, si menò dalla finestra ed essendo caduto dalla detta si ruppe le gambe".

L'8 novembre 1750 Pietro Paolo Zotto di Orsara anni 32 è morto nella difesa di S(annoro?) nel luogo detto Lo Serro dello Impiso con un colpo di accetta riceuto dalli vaccari del signor principe di Troia motivo che il detto Pietro Paolo aueua auto che detti baccari l'aueuano ucciso una scrofa".

Il 7 giugno 1756 "Pietro Pinto, marito di Rosa Cotugno, è morto nella Gotta (grotta?) detta Fontana di Magliano con colpo di schioppettata di notte per essere andato alla caccia reale, e casualmente si dice, che fosse stato tirato dai compagni e doppo giorni otto di diligenze (indagini) fatte, da una persona fu detto in confessione al sacerdote D. Saverio Fragassi, che il corpo morto di detto Pietro Pinto staua dentro un casale di detta Fontana della Gotta territorio appartenente a questa terra,e così fu visionato da cinque persone, che l'osservarono che stava con la faccia a terra, e nella sue mani videro un gruppo di capelli che si aveva strappato da' capo e con l'altra mano, per le forze fatte e per non auer auto aiuto nella di lui disgrazia, aueua strappata la terra e fu conosciuto da dette persone, che il colpo auto fosse stato nelle reni".

L' epidemia del 1764 ad Orsara fece 414 vittime. L'inizio dell'epidemia sembra coincidere con un fatto che è così riportato: All'11 aprile 1764, un giovane della Guardia Lombarda, di statura lunga e con la barba di pelo rosso, d'età di anni 35 circa, si è trovato morto dentro l'ospitale di questa terra di Orsara: non si sa il suo nome, ma solamente che giunse la sera del giorno 10 tutto freddo e, dopo riscaldato, si colcò ed, avendo dimandato chi fosse, disse che era della Guardia Lombarda che andava trovando sua moglie".

 

All'epoca i cadaveri degli adulti venivano seppelliti nella chiesa parrocchiale; quelli dei bambini nella chiesa abbaziale. Propagatasi 1'epidemia, ciò non fu più possibile per il grande numero dei morti, per cui si ordino di bruciarli; ma, lo spettacolo deprimeva ancor più il morale della popolazione e perciò si ordinò di costruire i cimiteri fuori dai centri abitati. Le autorità di Orsara ottennero dalla R. Udienza di Lucera di poter deporre i cadaveri nel vano esistente sotto il pavimento della chiesa di S. Pellegrino. Alla fine dell'anno 1764 risultano registrati 417 morti contro una media di 80 circa.

Nella seconda metà del XVIII secolo, sotto la spinta delle nuove idee che pervadevano l'Europa vi furono anche ad Orsara contestazioni nei confronti dell'autorità costituita. Una delle prime questioni riguardò 1'elezione dell'arciprete che era stata sempre una prerogativa del feudatario; infatti, dopo la rinuncia dell'arciprete Tommaso Nicola Picolo, il conte Troiano Cavaniglia nel 1514 designò Giacomo Alamo e, nel 1521, Feo Pinto. In seguito le designazioni furono fatte dai Guevara; infatti, Giovanni I nel 1528 designò Guglielmo De Ferrjis; Giovanni II, nel 1576, Angelo Di Sapia(o La Pia); Inigo I nel 1590 Giacomo Cataneo; Giovanni III nel 1618, Ercole Noia e, nel 1642, l'abate Francesco Calvano; Francesco Guevara, nel 1652, Francesco Curcio e, poi, Stefano Grippo, Vincenzo Staffiero (1673), Antonio Ingrossa (1674) e Nunzio Poppa. Inigo II designò Giovanni Spontarelli, che assunse l'incarico il 4 marzo 1715.

Nel 1762, alla morte dello Spontarelli, gli Orsaresi contestarono al feudatario Giovanni Maria Guevara il diritto di eleggere l'arciprete. In effetti, Secondo un privilegio del papa Benedetto XIII (1724-30) la nomina veniva fatta dal vescovo su designazione del feudatario. Però, non ostante le contestazioni, il feudatario elesse, in prosieguo di tempo, gli arcipreti Pasquale Ricci, Leonardo Tarantino e, il 13 giugno 1766, Paolo Malfesa, che non potè prendere possesso della carica per le contestazioni relative all'Abazia. In seguito, il feudatario designò Gianvincenzo La Monaca nel 1793 e Vito Frisoli nel 1801, per 1'ultima volta. Poi il diritto non fu più esercitato; ma fu abolito formalmente soltanto nel 1844 da sentenza emessa dal tribunale di Lucera in applicazione della legge 20 luglio 1818.

 

Più importante fu la contestazione del clero e della popolazione di Orsara contro il vescovo troiano per ripristinare pienamente l'autorità dell'Abbazia di S. Angelo. Queste rivendicazioni erano state sempre presenti; ma si era riuscito a tenerle frenate sia per l'autoritarismo dei tempi e sia per il tatto del vescovi. Nel XVIII secolo, il vescovo di Troia, Pietro Faccolli, era riuscito a frenare la contestazione ordinando la compilazione degli statuti del clero di Orsara e concedendo ai canonici orsaresi il diritto di usare la cappa di pelle tigrata, l'almuzia, il rocchetto ed i nastri viola; il relativo provvedimento vescovile del 20 gennaio 1749 era stato approvato dal papa il 7 febbraio 1749 e dal re il 23 febbraio 1750. Il vescovo Marco De Simone, che successe al Faccolli nel 1743, non seppe contenere la contestazione. Le rivendicazioni divennero aspre anche (e, forse, soprattutto) perchè si trovarono ad essere guidate dai fratelli Fattore.

La famiglia Fattore, col padre Salvatore, era originaria di Castellucclo Valmagglore (in un esposto al re, il vescovo afferma che ne era stata scacciata). I fratelli erano sei, tutti in buona posizione sociale: Francescantonio e Pasquale erano preti; Pietro e Giovanni erano impiegati; Alessandro era medico e Gennaro faceva l'avvocato a Napoli (il vescovo lo qualifica con lo spregiativo di paglietto). Francescantonio Fattore era un tipo irrequieto e già aveva avuto contrasti col parroco Giovanni Spontarelli. Nel 1741, mentre quest'ultimo faceva la predica domenicale, il Fattore aveva fatto suonare la campana a morto e la gente aveva abbandonato la chiesa piantando in asso il predicatore. Nel 1745, lo stesso Fattore (calunniosamente, secondo il vescovo) aveva accusato il parroco di essere il mandante di due archibugiate sparategli contro. C'era una scissione nel clero di Orsara con una corrente capeggiata dal parroco e favorevole al vescovo e un'altra capeggiata dal Fattore, che si faceva forte dell'appoggio popolare; tra i fautori di quest'ultimo c'era anche Michele Susca, priore del locale convento S. Domenico. Va anche notato che, entrambe le correnti si ricollegavano idealmente all'antica abbazia perche l'arciprete Giovanni Spontarelli si fregiava il titolo di abate. Nelle molte carte relative alla controversia vi sono pochissimi spunti storici. Ciò fa ritenere che le ragioni della contestazione erano prettamente economiche e riguardavano il clero; infatti, l'abbazia era ancora proprietaria di oltre 500 ettari di terreno ed e ovvio che le ricche rendite erano ambite sia dal vescovo che già ne godeva e sia dal clero di Orsara, che le rivendicava. La polazione era contro il vescovo per motivi campanilistici.Un atto arrogante del vescovo De Simone tramutò la contestazione in lotta aperta. Il canonico Francescantonio Fattore e Saverio Fragasso, forse invitati, si presentarono a Troia per un chiarimento col vescovo; ma costui non volle riceverli. Furono ricevuti dal cancelliere del vescovo, il quale li minacciò di scomunica e di arresto, se avessero persistito nella loro contestazione, e, inasprendosi la discussione, li svilaneggiò e li fece addirittura bastonare. Tornato ad Orsara, il Fattore, appoggiato dal clero locale e dalla popolazione, riaffermò l'autonomia della Chiesa di Orsara e prese posseso dei magazzini dove erano depositati i beni (soprattutto derrate) dell'abbazia. Il comportamento del vescovo, quindi, fu maldestro perchè la violenza rinsalda una pretesa sostenuta dalla forza, ma pregiudica irrimediabilmente quella già debole.

 

A questo punto intervenne Gennaro Fattore, che portò la contestazione davanti al re di Napoli, ponendo in evidenza le prevaricazioni e le illegalità poste in essere dal vescovo. Quest'ultimo, da padre sua, accusa Francescantonio di "sortilegj, dalla quale fede potrebbero sortire condanne capitali"; di non riconoscere l'autorità del papa e del vescovo; di istigare il popolo alla ribellione; di estorsione; di esercizio abusivo dell'arte medica e di altri reati, fra cui quello di "oltraggio al ritratto di Sua Maestà". Le accuse del vescovo erano condite di ingiurie e di pettegolezzi e ciò, più che rafforzare, indeboliva il valore delle sue argomentazioni.

La controversia si chiuse con un provvedimento salomonico, emesso il 17 Aprile del 1769 da re Ferdinando I Borbone: si riconobbe l'autonomia dell'Abbazia di S. Angelo, della quale Francescantonio Fattore prese possesso il 13 ottobre I769 come rettore di nomina regia; nel contempo si confermò che la chiesa di Orsara, distinta dell'Abbazia, rimaneva soggetta al vescovo di Troia.

Il 12 giugno 1762 morì I'arciprete Giovanni Spontarelli dopo essersi riconciliato con Francescantonto Fattore; quest'ultimo morì il 13 novembre 1784 dopo essersi anche lui riconciliato con 1'arciprete Pasquale Ricci. Sembra, quindi, che la questione dell'abbazia fosse ormai sopita; infatti, il 9 settembre 1786, il vescovo Giacomo Onorati riuscì ad ottenere la concessione dell'Abbazia, sia pure con la vecchia clausola "toties quoties" (nomina ad ogni suo successore). Restavano anche confermati il patronato del re e l'autonomia dell'abbazia.

Il 14 marzo del 1805 la concessione fu data al nuovo vescovo Michele Palmieri: ma, nel 1824, il suo successore Antonio Maria Monforte non ebbe bisogno di conferma perchè il Concordato del 20 luglio 1818 gli dava il diritto di amministrazione come vescovo viciniore.

 

Le rivendicazioni degli Orsaresi continuarono. Il 23 agosto 1826, il Capitolo di Orsara inizia, davanti al Tribunale di Lucera, una causa contro il vescovo Monforte e, nel 1840, assistita da Giovan Clemente De Stefano, portò davanti all'Alta Commissione esecutrice del Concordato la questione della collegialità della chiesa orsarese (va notato che in ordine progressivo di importanza, le chiese erano parrocchiali, collegiali, cattedrali, metropolitane e patriarcali).

Anche la Nunziatura Apostolica fu investita della questione e, con un provvedimento del 4 agosto 1841, dichiarò che la chiesa di Orsara era recettizia (cioè era un ente il cui patrimonio era amministrato collettivamente dal Clero locale).

E' evidente che queste azioni legali miravano solo ad un utile immediato; ma erano scoordinate e destinate all'insuccesso per quanto riguardava I'autonomia dell'antica abbazia ed il conseguente godimento dei terreni abbaziali. La questione fu definita della Commissione esecutrice del concordato con un rescritto dell' 11 maggio 1855, che incorporò definitivamente l'Abbazia di Orsara nel vescovado di Troia. Gli Orsaresi continuarono a rivendicare i diritti della loro abbazia;

 

La questione era ancora viva quando, il 12 giugno 1906, fu inoltrato al re di cui si affermava il diritto di patronato, un esposto del canonico Michele Guiducci con note storiche di Gaetano Cappetta. Dello stesso anno è uno studio storico-giuridico, inedito, di Vincenzo Del Giudice, all'epoca pretore di Orsara.

Evidentemente ancora non ci si rendeva conto che l'Abbazia di S. Angelo ormai apparteneva solo al passato e la storia ne era il suo vero patrimonio.
A questi scritti si può muovere un appunto; essi facendo dell'indagine storica sullo lo sfondo per rivendicare dei diritti, non utilizzarono compiutamente documenti che, all'epoca, potevano essere reperiti.

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