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A questo avvenimento sono forse da collegare alcune modifiche nella sistemazione della grotta dell'Angelo, testimoniate da una lapide, oggi murata nella grotta, che porta la data del 1527. Fra gli interventi promossi dai Guevara va sicuramente annoverata una fontana monumentale, di fronte all'edificio già abbaziale. Venne costruita nel 1547, come riportato dall'iscrizione murata all'interno: "URSARIENSES HUNC PERENNIS AQUAE FONTEM GUEVARAE IUSSU STATUERUNT MCCCCCXXXXVII". Nel 1663, poi, la fonte dovette essere fornita di un loggiato a doppia arcata, come riportato dall'iscrizione sul frontone: "D. FRAN GUEVRA BOCOPAG DUCIS BIBINI FIL UTILIS DOM URSAE IVCFOE INSBLEDIOR CULT SUBTB SUIS ERIGIV AN 1663". Francesco Guevara, l'unico feudatario che abbia risieduto stabilmente ad Orsara aveva ricevuto la città ed altri territori dal fratello primogenito Carlo Antonio, in cambio di un legato testamentario di quarantamila Ducati che questi non aveva potuto pagargli nel 1649, alla morte del padre Giovanni III Guevara, feudatario di Orsara, Secondo la storiografia locale egli avrebbe acquistato dal Clero di Orsara il Palazzo dei Calatrava, in cambio di un appezzamento di terreno di cinquantacinque versure in località LAURA. Nel 1590 si era verificato lo spostamento della sede parrocchiale del Capitolo di Orsara dalla Chiesa dell'Angelo a quella di San Nicola di Bari, con il mantenimento del titolo di Sant'Angelo e del sigillo con l'effigie dell'Arcangelo Michele e la legenda "Capitulum Sancti Angeli de Ursaria". Lo spostamento comportò il trasferimento degli arredi sacri con il fonte battesimale, la statua dell'Arcangelo ed il monumentale coro ligneo. La chiesa dell'Angelo comincia in questo momento della sua storia ad essere indicata come chiesa dell'Annunziata forse perchè, dopo lo spostamento della sede parrocchiale, vi sarebbe rimasta la Cappella della Congregazione della Santissima Annunziata nella quale alcuni preti officiavano per mantenere viva la tradizione; in questa nuova situazione poteva più facilmente assumere la veste di cappella di Palazzo, direttamente collegata alla dimora del feudatario; non ci sono comunque notizie certe sugli interventi operati dal Duca di Bovino. All'inizio del 1700 il Capitolo di Orsara non officiava più, tranne che in circostanze particolari, nella vecchia chiesa abbaziale e il Clero non risiedeva più nell'edificio che era stato la sede monastica. Il complesso aveva perso del tutto la sua funzione primitiva e il Clero non era più di tipo regolare ma secolare. Il Capitolo di Orsara, però, ha sempre rivendicato la sua indipendenza nei confronti delle pretese del Vescovo di Troia riallacciandosi alla tradizione di passato splendore e autonomia dell'Istituto Abbaziale. In questo contesto si inserisce la vicenda di D. FRANCESCANTONIO FATTORE unico canonico di Orsara che abbia ottenuto il Rettorato dell'antica Abbazia nel 1769. Alla sua morte 12 Novembre 1784) l'Abbazia sarebbe tornata ai vescovi di Troia.


Il 16 settembre 1602 in località Ischia -Verditolo del territorio di Orsara, i notai Giovanni Muccigno ed Ovidio De Paulis redassero una transazione tra il feudatario Inigo Guevara, rappresentato dal suo amministratore Marcello Pisano a dall'erario (esattore) di Orsara, e il capitolo della chiesa orsarese, rappresentato dall'arciprete Giacomo Catania. Nell'atto si chiarisce che, trent'anni prima, Pietro Guevara (potrebbe essere Pietro Paolo, secondogenito di Giovanni I) aveva ricevuto in fitto alcuni terreni (non specificati) del Capitolo. Inigo,cui ne era venuto in possesso, non pagava l'estaglio e ne contestava addirittura la proprietà dell' ente; ma, dopo aver consultato i legali, si obbligò a pagare l'estaglio o a restituirli.
I Guevara: Nel 1531 Bovino viene venduta a Don Troylo d'Espes e ai suoi successori e nel 1563, Bovino e territori, fu posta all'incanto ed acquistata da Delfina di Loffredo, appartenente a una delle più antiche famiglie del Regno di Napoli, madre e tutrice di Don Giovanni De Guevara, I Duchi Guevara Suardo, suoi discendenti abiteranno il palazzo Ducale e gestirono le terre del feudo fino al 1961 con don Achille Lecca Ducagini.


Francesco Guevara fu il primo e forse l'unico feudatario che risiedette quasi stabilmente ad Orsara; era un ecclesiastico che aveva ricevuto gli ordini sacri il 9 luglio 1639 dal vescovo Calderisi di Bovino; nei registri parrocchiali di Orsara si ha solo un atto di battesimo da lui redatto il 31 gennaio 1650. Con un atto del 16 settembre 1662, dal notaio Giovanni Muccigno, acquistò il palazzo dei Calatrava, che destinò a sua dimora. Molto probabilmente, a lui furono dovute le più radicali menomazioni alla chiesa abbaziale perché vi fece costruire la loggetta per comunicare col suo palazzo e, conseguentemente, dovette spostare l'altare al lato opposto. Formalmente il palazzo Calatrava fu ceduto al Guevara dal clero di Orsara, che ne ebbe in permuta 55 versure di terreno in località Laura (ora Montagna). Ricordando che il terreno e il palazzo, in origine, appartenevano all'abbazia. È presumibile che questa vendita mascherò una spoliazione, alla quale concorsero gli interessi di tutte le parti che intervennero all'accordo; infatti, il feudatario ebbe una dimora adeguata senza dare praticamente alcun corrispettivo; il clero ebbe la libera disponibilità del terreno abbaziale e potè dividerlo tra i suoi componenti; infine, il vescovo di Troia, che approvò l'accordo, addolcì le rivendicazioni degli Orsaresi per gli altri beni ecclesiastici in suo possesso. Alla fine del XVII secolo, morto Francesco Guevara, Orsara tornò sotto il dominio feudale del duca di Bovino.
Il restauro ha interessato anche tre locali sul lato ovest al piano terra del palazzo dei Guevara probabilmente pertinenti alle fabbriche della vecchia abbazia. In realtà non si sa bene quanto i Guevara abbiano ristrutturato e quanto abbiano costruito ex-novo, ma si è appurato, durante i lavori, abbassando la quota di calpestio, che le fondazioni dei pilastri dell'ambiente più grande, molto ben curate, sono impostate sul masso roccioso, mentre i locali situati dietro la Chiesa sono risultati in parte scavati nella roccia. Prima dell'inizio dei lavori gli ambienti erano adibiti a deposito o stalla; a restauri ultimati saranno probabilmente utilizzati come sede per il locale Museo. Il più interessante è un vasto ambiente a pianta rettangolare, suddiviso in sei campate da volte a crociera che si impostano su due pilastri centrali a sezione quadrata e sui corrispondenti semipilastri addossati alle pareti. Una semplice cornice modanata segna l'imposta delle volte. Probabilmente questo ambiente è parte di una più vasta sala che doveva prolungarsi verso sud, come fa supporre la sottile tramezzatura di costruzione recente che lo divide da altri spazi oggi di proprietà privata, dove non è stato possibile estendere i lavori. Il locale presenta in alto, sul lato est, delle finestre che a causa dei mutamenti di dislivello, affacciano oggi poco al di sopra del calpestio del cortile di accesso al palazzo. Si tratta di un ambiente importante nel complesso abbaziale e data la sua disposizione possiamo avanzare l'ipotesi che fosse la sala capitolare o comunque uno degli ambienti per i monaci che spesso nelle abbazie benedettine, ma in particolar modo in quelle cistercensi, occupavano il lato ad est del chiostro che a sua volta si estendeva generalmente a sud della Chiesa. La sala ha l'ingresso in uno stretto ambiente voltato a botte, anch'esso interessato dal restauro, disposto lungo il fronte occidentale del palazzo. Vi si accede dall'esterno attraverso una porta che si apre entro una delle cinque grandi arcate, oggi tompagnate, che articolano al piano terra questo lato del palazzo dei Guevara. Le murature, su questo fronte, sono leggermente a scarpa. Possiamo supporre che i lavori promossi dai Guevara, intervenendo sulle antiche strutture dell'abbazia, rivestirono e inspessirono i muri originari, chiudendo forse le archeggiature del chiostro. Gli archi non sono presenti lungo tutta la facciata ovest del palazzo; i Guevara dunque dovettero ampliare l'edificio abbaziale verso sud. L'ambiente voltato a botte sarebbe forse una parte, per quanto fortemente rimaneggiata, del corridoio dell'antico chiostro. Il locale, anch'esso oggetto del restauro, che si allunga dietro il lato orientale della Chiesa, è stretto e lungo, voltato a botte, quasi un corridoio, diviso in passato in tre locali da due sottili tramezzi in muratura ora abbattuti. Nella zona più vicina alla chiesa il corridoio assume una forma ad "elle" comprendendo l'area occupata in origine dall'abside della quale sono emerse le tracce fondali; ciò ha fornito la prova che la Chiesa dell'Angelo aveva una sola abside, che a parere dei tecnici sarebbe stata smontata. Considerando che l'abside doveva essere a vista e che il locale, come accennato, è risultato in parte scavato nella roccia, si può fare l'ipotesi che questo corridoio sia stato addossato alla chiesa e alle fabbriche dell'antica Abbazia dell'Angelo come ampliamento del Palazzo. Negli ambienti interessati dai lavori, questi sono andati avanti fino quasi alla conclusione ed hanno individuato le quote del piano di calpestio più antico attraverso il ritrovamento delle "soglie in corrispondenza degli accessi dal locale di ingresso ai locali a nord e ad est ". Tutti gli ambienti sono ancora chiusi.


Agli inizi del XVII secolo, era feudatario di Orsara Giovanni III Guevara, duca di Bovino. Gli succedette il primogenito Carlo Antonio, che, non potendo pagare al fratello Francesco un legato testamentario di 40.000 ducati, nel 1649 gli cedette Orsara ed altri feudi vicini. A Francesco Guevara si riferisce un'epigrafe esistente sul frontone della Fontana Nuova; vi si legge: D. FRAN(ciscus) GUEV(a)RA BO(n)CO(m)PAG(nus) DUCIS BIBINI FIL(ius)UTILIS DOM(INUS) URS(ari)AE IVCFO (?) E(t) INSBLEDIOR (?) CULT(um) SUB(di)T(i)B(us) SUIS ERGIV(it) AN(no) 1663.
Un'altra epigrafe esistente nella stessa fontana, ne ricorda il primo impianto avvenuto nel 1547 (URSARIENSES HUNC PERENNIS AQUAE FONTEM GUEVARAE IUSSU STATUERUNT MCCCCCXXXXVII Gli Orsaresi per ordine del Guevara costruirono questa fontana dl acqua perenne nel 1547).
Duca Inigo Guevara nel 1736 fece costruire il palazzo e sul portone d'ingresso vi è la seguente lapide che ne ricorda la costruzione: Carolo Borbonio Neapolis, Siciliae, Hierusalem Regi etc. Pio felici invicto Augusto quod rurales Bovinensium Ducum delicias praesentia comitate venatu hospes maximus nobiliores Innicus de Guevara Bovini Dux D. N. M. Q E. (devotus numini maiestati que eius) ne benefici amplissimi memoria unquam intercidat. P.C. (poni curavit) anno MDCCXXXVI "
Inigo Guevara Duca di Bovino, devoto alla divina maesta, della cui magnifica benevolenza resti sempre memoria fece questa costruzione nel 1736 dedicandola a Carlo III di Borbone Re di Napoli, di Sicilia, di Gerusalemme, ecc., pio, felice ed invicto Augusto, affinchè, ospite massimo renda piu nobili le rustiche delizie dei duchi bovinesi con la presenza, la compagnia, la caccia.
Dal primo settembre del 1700 fino alla morte avvenuta il 15 novembre 1748, fu duca di Bovino Inigo Il Guevara. Costui era feudatario e possessore del vasto territorio tra Bovino, Castelluccio dei Sauri, Montaguto, Orsara, Panni e Troia. Questo territorio, in massima parte boschivo, era destinato alla caccia; perciò, aveva preso il nome di Caccia dei Guevara ed aveva come centro, non per posizioze ma per importanza, la Torre della Caccia, che trovavasi già riportata in una carta geografica dei musei Vaticani compilata alla fine del XVI secolo. In seguito l'edificio assunse il nome di Torre Guerara; Inigo II lo fece ristrutturare e vi fece apporre all'ingresso un'epigrafe per tramandare che Inigo Guevara, duca di Bovino, fedelissimo e riconoscente, fece la costruzione nel 1736 dedicandola a Carlo il Borbone, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme, affinchè, quale ospite graditissimo, rendesse più nobili i rustici passatempi dei duchi bovinesi con la presenza, la compagnia e la caccia (CAROLO BORBONIO NEAPOLIS SICILIAE HIERUSALEM REGI ET C(etera) PIO FELICI INVICTO AUGUSTO QUOD RURALES BOVINENSIUM DUCUM DELICIAS PRAESENTIA COMITATE VENUTU HOSPES MAXIMUS FECERIT NOBILIORES INNICUS DE GUEVARA BOVINI DUX D(evotus) N(umini) M(ai estati) Q(uae) E(jus) NE BENEFICI AMPLISSIMI MEMORIA UNQUAM INTERCIDAT P(oni) C(uravit) ANNO MDCCXXXVI).


In effetti il re Carlo III di Borbone che aveva un attaccamento quasi maniacale per la caccia, e il suo successore Ferdinando I soggiornarono molto spesso in questo edificio ospiti dei duchi di Bovino. La destinazione a caccia di questo vastissimo territorio, riduceva le già scarse fonti di reddito delle popolazioni. Ad Orsara e nei paesi vicini le possibilità di reddito erano legate, esclusivamente, alla coltivazione dei terreni; peraltro, erano di scarsa produttività ed anche insufficienti come estensione. In conseguenza la popolazione si era stratificata in due classi: i possidenti o galantuomini ed i bracciali. I primi gestivano i terreni, in minima parte come proprietari; in maggiore misura, come coloni dei baroni o della Chiesa o anche come amministratori dei comuni; essi, inoltre, avevano un livello culturale più elevato che li portava ad essere meno legati ai pregiudizi e più aperti al nuovo in politica. I bracciali nullatenenti, erano legati alle tradizioni e, quindi alla Chiesa o, piuttosto, alla religione ed anche alla monarchia borbonica. Nella società locale così configurata, il contrasto era solo tra i bracciali ed i possidenti; questo stato di cose, ormai anacronistico rispetto alle nuove concezioni ed aspirazioni, caratterizzò le lotte politiche ed agrarie del XIX secolo. Ad Orsara le prime contestazioni furono portate davanti ai giudici e riguardarono la tenuta di Cervellino, la cui estensione trovasi indicata in 57 carra e 13 versure (circa 1700 ettari) sulla quale potevano pascolare 456 bovine, 30 equini, 343 ovini e 336 maiali. Nel XV secolo, l'università di Orsara concesse al re Ferdinando I d'Aragona il territorio di Cervellino per destinarlo al pascolo delle regie razze di cavalli. Però all'atto della concessione, il Comune fece espressa riserva degli usi civici, il cui esercizio fu ristretto a certi periodi dell'anno, come è riconosciuto in un decreto dato nel 1579 dalla R. Camera della Sommaria. La zona fu costituita in difesa (ancora oggi è il nome proprio di una parte del territorio). Nel 1693, dismesso l'allevamento dei cavalli, il Fisco vendette Cervellino a Francesco Veneri. Nel 1759, quando iniziarono le contestazioni degli orsaresi, il territorio era di proprietà della duchessa Alvito e tenuto in fitto da Ferdinando Poppa; quest'ultimo pretendeva, come canone annuo per il pascolo (fida), 24 carlini per ogni bovino e 20 per equino. La contestazione degli Orsaresi finì davanti alla R. Camera della Sommaria e questa, con sentenza del 9 luglio 1763, stabilì che gli Orsaresi dovevano pagare una fida di 6 carlini, soltanto per ciascun animale di grossa taglia che pascolava su quel territorio. In seguito Cervellino "divenne proprietà del duca Rospigliosi Pallavicino, poi, di Gaetano Varo e, infine, fu acquistato dal Comune di Orsara con l'atto stipulato l' 11 ottobre 1782 dal notaio Raffaele Avossa.
Ad Orsara le lotte violente per la questione agraria iniziarono alla fine del XVIII secolo. I primi moti si ebbero nel 1797 e poi nel 1799 quando i bracciali, approfittando dei rivolgimenti politici che rendevano deboli le autorità costituite, occuparono e dissodarono i boschi Montagna e Lama Bianca; cercarono anche di dissodare Montemaggiore, difesa chiusa destinata da molto tempo a pascolo dei buoi aratori. In queste occasioni, non vi fu alcuna reazione da parte delle autorità; ma nel 1802, quando l'occupazione si ripetè per Montemaggiore e Pannolino, fu inviato ad Orsara il gudice Gelormino della R. Udienza di Lucera. Costui, con l'intervento del soldati, fece cessare le l'occupazioni e ristabilì l'ordine. Negli anni successivi le contestazioni imboccarono vie legali. In questi anni, sullo sfondo della Rivoluzione Francese, anche l'Italia meridionale fu scossa da profondi sconvolgimenti politici e sociali. Ferdinando I Borbone fuggi in Sicilia il 21 dicembre 1798 all'avvicinarsi dell'esercito francese del generale Championnet; quest'ultimo entrò in Napoli il 23 gennaio 1799. Proclamata la Repubblica Partenopea, i nuovi governanti inviarono nelle provincie i democratizzatori col compito di nominare gli amministratori locali, innalzare l' albero della libertà e confiscare i beni ecclesiastici. L'odio verso i galantuomini (in massima parte favorevoli al nuovo governo), il fanatismo religioso e l'ostilità contro gli stranieri Francesi provocarono, subito dopo, rivolte popolari con saccheggi e violenze atroci contro i repubblicani. Ad Orsara, fu eretto l'albero della liberta infiggendo un grosso ramo nella pietra tonda (è una pietra cilindrica, appositamente costruita; ha diametro 54 centimetri ed altezza 68 con un grosso buco al centro; attualmente e incastrata in un angolo della Chiesa parrocchiale). Alla data del 13 febbraio1799, trovo annotato "Francesco Pinto di anni 28 è morto ucciso nella pubblica piazza di questa terra di Orsara"; ma non è precisato se, come sembra, il motivo fu politico. Il 23 febbraio 1799, tre colonne di soldati francesi, percorrendo la via della valle del Cervaro e la via Trajana, giunsero a Foggia e perseguirono i responsabili della ribellione, fucilandone alcuni; Troia evitò il saccheggio e la fucilazione dei ribelli pagando un riscatto di tremila ducati. Ad Orsara fu costituita la truppa civica agli ordini del sottotenente Giuseppe Borrelli. In Capitanata la repubblica durò meno di tre mesi; il 21 aprile i Francesi abbandonarono Foggia e il 24 maggio vi entro l'esercito borbonico del cardinale Fabrizio Ruffo e del generale Antonio Micheroux. Allontanatisi i Francesi e ristabilita a Napoli la monarchia borbonica, Ferdinando I cercò di ingraziarsi le popolazioni limitando i diritti dei feudatari sui beni delle collettivita. Il sistema feudale aveva attribuito ai feudatari ogni potestà e, quindi, anche I'amministrazione dei beni pubblici. Gli immobili potevano essere dei privati (allodi), dei baroni (burgensatica) e dei Comuni (demani) ("Dicuntur demania.... civitates, castra et bona alia...retenta per antiquos reges in potestate et dominio suo non donata et concessa aliis"). Il concetto di demanio come proprietà territoriale dei Comuni fu sancito dagli artt. 176 e 182 della legge 12.12.1816.


Gli usi civici già in epoca romana venivano ritenuti una derivazione del primitivo uso comune del territorio (compascua) e, quindi, originate in epoca preistorica con la formazione delle prime comunità. Conservati dal sistema feudale, furono riconosciuti anche dall'art. 15 della legge 2 agosto 1806 che abolì il feudalesimo e sono ancora tutelati dalla legislazione italiana vigente. Consistono nel diritto degli abitanti di utilizzare un territorio facendovi pascolare animali oppure raccogliendo legna o altri frutti naturali. Nella pratica l'accertamento degli usi civici e della demanialità era estremamente difficoltoso sia perchè mancavano, salvo casi rarissimi, prove documentali e sia perchè le situazioni di fatto derivavano da consuetudini, leggi ed abusi, i cui effetti si erano accumulati per secoli. In conseguenza si ebbero contestazioni senza fine tra gli ex baroni e le popolazioni (come cittadini e come enti pubblici). Queste contestazioni si tradussero, sotto l'aspetto legale, in cause interminabili e, sotto l'aspetto pratico, in sommosse e violenze. In questo periodo anche Orsara iniziò l'azione legale contro il feudatario per rivendicare gli usi civici sul territorio di Ripalonga. Ripalonga comprendeva anche le località denominate Ischia del Governatore, Lama Bianca, Piano Perazze; l'estensione complessiva era di circa mille ettari (oggi la zona e riportata nei fogli catastali da 1 a 8 e nel foglio 42). Il feudo fu acquistato dai Guevara nel 1596. Nel 1763, il duca Giovanni Maria Guevara lo concesse ai massari (pastori) d'Orsara per il canone annuo di 372 tomoli (circa 161 quintali) di grano. Il 28 marzo 1803 il Comune di Orsara, difeso dall'avvocato Giuseppe Casoria, iniziò davanti la R. Camera della Sommaria l'azione legale per Ripalonga contro il duca Carlo Guevara, difeso dall'avvocato Pietro Porcelli. Con la successiva allegazione difensiva del 3 luglio 1803, contestò anche il diritto di esigere i balzelli feudali (portulania, bagliva, focaggio, cippone, bottega lorda). La lite fu definita per i buoni uffici del canonico Michele La Monica con una "convenzione.... approvata da tutta l'intera cittadinanza di Orsara". Questa convenzione, ratificata dalla R. Camera Sommaria con decreto 14.11.1803, fu trasfusa nella transazioni redatta a Napoli il 22 febbraio 1804 dal notaio Ferdinando Caristo; in quest'atto si stabilì che il duca:
1) rilasciava al Comune di Orsara le "difese" Acquara, Ischia del Governatore e Monte Preise;
2) dava in enfiteusi al Comune per il canone annuo di 372 tomoli di grano (precedentemente pagato dai massari) i territori di Ripalonga, Piano Perazzi e Lama Bianca;
3) riconosceva come demaniali Montemaggiore e Montagna. Per contro il Comune di Orsara riconosceva al duca la proprietà del territorio detto di Pescorognone (oggi in catasto ai fogli 41 e 42) e faceva "altre piccole concessioni".
La questione fu risolta anche politicamente quando il 3 dicembre 1804 la R. Camera della Sommaria accolse l'istanza presentata da Ignazio Tancredi per il Comune di Orsara ed autorizzò la concessione ai privati dei territori delle località Acquara e Ischia del Governatore. Nel febbraio 1806, mentre l'esercito francese del generale Massena entrava nuovamente nel Regno di Napoli, Ferdinando I Borbone tornò in Sicilia. Il trono fu dato prima a Giuseppe Bonaparte, che giunse a Napoli l' 11 maggio 1806, e, poi, dal settembre 1808, a Giacomo Murat. Uno dei primi provvedimenti del nuovo regime fu la legge 2 agosto 1806 che abolì il sistema feudale. Il successivo decreto 11 novembre 1807 istituì la Commissione Feudale per decidere tutte le controversie tra i feudatari ed i Comuni. Per la definizione dei processi fu posto il termine del 31 dicembre 1808 poi prorogato al 31 agosto 1810. Nell'ottobre del 1809, l'avvocato Casoria (costui morì poco dopo e fu sostituito dall'avvocato Clemente Gaito), per il Comune di Orsara, riprese l'azione legale per la rivendica di altre terre demaniali contro il duca Guevara, sempre difeso dall'avvocato Porcelli. Dopo le decisioni interlocutorie del 31 ottobre 1809 e del 23 marzo 1810, si ebbe la sentenza del 31 agosto 1810 che stabili:
1) Pescorognone e Magliano appartenevano ai Guevara;
2) gli Orsaresi avevano il diritto di affrancare i fondi delle predette contrade che coltivavano da almeno dieci anni;
3) i terreni demaniali di Orsara erano liberi da terraggi, censi e di ogni prestazione feudale perchè non esisteva ad Orsara feudalità universale.
4) in forza di un accordo intervenuto nel 1529 il comune di Orsara e il conte Cavaniglia (o Giovanni I Guevara), Monte Preise apparteneva al Comune di Orsara; questo, però, doveva pagare al duca il censo annuo di 55 ducati.


Il Palazzo Baronale edificato da suoi Antecessori in luogo detto Fontana Nuova, di più i e diversi membri superiori ed inferiori, del Palazzo ne tiene affittato diversi magazzini e ne ricava circa ds. 40 in qual si voglia anno, da quali dedottone il quarto per le accomodazioni necessarie restano ds. 30, sono on. 100. Di più un sottano di detto Palazzo vi sono due centemoli da macinar grano che le possono rendere annui ds. 10 on. 33:10. Possiede la Difesa detta Ripalonga della capacittà di versure 82 censuata detta Difesa ai massari di questa Terra e ne percepisce celibet anno in grana tomola 372, che ridotto in prezzo sono docati 222, sono on. 740. Possiede due forni, che si affittano per ds. 127 e venti, dai quali dedottone il quarto per le accomodazioni necessarie, restano ds.85:40, sono on. 2 Esigge da Angelo Tozza grana 6 dodici ridotto in prezzo, sono ds. 7.2 per censuazione di alcuni territori, sono on. 24. Piiu possiede un territorio di versure 8 luogo detto Guado Vivo censuato ad Angelo Del Sonno per 9 di grano in ogn'Anno che ridotto in ds.12 sono ds. 5:40, .sono on. 18. Esigge da Ippolita Staffieri annui ds. 0:20 per affitto di un orto, sono on. 20. Da Carrnine Morzuillo per un orto censuato luogo dettoIammorgato ds. 3:52 che sono on. 11:22. Possiede un corpo detto Magliano, che dicono essere burgensatico" per non essere nella platea feudale, della capacitti di cars 48 e versure 125, giusta il jiume di Sannoro, stirnata la rendita di ds. 730, sono on. 2433:10. Possiede anco del modo di supra spiegato un Corpo chiamato Monte Squarciello di cars 2 e versure 10, giusta la Difesa di Cervolino, stimata la rendita ds. 25, sono on. 83:10. Possiede anco del modo di supra un altro Corpo chiamato Piscorognone e l' Isca del Governatore di carra 2 e versure 12, giusta la Difesa di questa Universittà chiamata Montemajuro, stimata la rendita di ds.36, sono on. 120.
Alcuni Guevara: Don Giovanni I Guevara, Don Pietro Guevara, Giovanni III guevara (fontana 1663), Carlo Antonio Figlio primogenito di Giovanni III, Francesco Guevara (fratello di Carlo Antonio: risiedette ad Orsara e ampliò la Fontana Nuova), Inigo I guevara, Inigo II guevara.
Il feudatario si veniva a trovare di fronte a cittadini investiti protempore di un particolare potere cui anch'egli era soggetto. Si trattava di un rapporto tra due diseguali poteri infrastatali nel contesto di quel potere statale di cui il nuovo Regno tendeva a promuovere un'incisiva affermazione. La Rivela dei beni del feudatario, regolarmente esibita dall'erario, fu discussa con una verifica meticolosa e con aperta contestazione da parte dei deputati sui possessi feudali o burgensatici.
Altra prerogativa del feudatario era la nomina dell'Arciprete di Orsara.


Nella seconda metà del XVIII secolo, sotto la spinta delle nuove idee che pervadevano l'Europa vi furono anche ad Orsara contestazioni nei confronti dell'autorità costituita. Una delle prime questioni riguardò 1'elezione dell'arciprete che era stata sempre una prerogativa del feudatario; infatti, dopo la rinuncia dell'arciprete Tommaso Nicola Picolo, il conte Troiano Cavaniglia nel 1514 designò Giacomo Alamo e, nel 1521, Feo Pinto. In seguito le designazioni furono fatte dai Guevara; infatti, Giovanni I nel 1528 designò Guglielmo De Ferrjis; Giovanni II, nel 1576, Angelo Di Sapia (o La Pia); Inigo I nel 1590 Giacomo Cataneo; Giovanni III nel 1618, Ercole Noia e, nel 1642, l'abate Francesco Calvano; Francesco Guevara, nel 1652, Francesco Curcio e, poi, Stefano Grippo, Vincenzo Staffiero (1673), Antonio Ingrossa (1674) e Nunzio Poppa. Inigo II designò Giovanni Spontarelli, che assunse l'incarico il 4 marzo 1715.
Nel 1762, alla morte dello Spontarelli, gli Orsaresi contestarono al feudatario Giovanni Maria Guevara il diritto di eleggere l'arciprete. In effetti, Secondo un privilegio del papa Benedetto XIII (1724-30) la nomina veniva fatta dal vescovo su designazione del feudatario. Però, non ostante le contestazioni, il feudatario elesse, in prosieguo di tempo, gli arcipreti Pasquale Ricci, Leonardo Tarantino e, il 13 giugno 1766, Paolo Malfesa, che non potè prendere possesso della carica per le contestazioni relative all'Abazia. In seguito, il feudatario designò Gianvincenzo La Monaca nel 1793 e Vito Frisoli nel 1801, per 1'ultima volta. Poi il diritto non fu più esercitato; ma fu abolito formalmente soltanto nel 1844 da sentenza emessa dal tribunale di Lucera in applicazione della legge 20 luglio 1818.

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