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La storia del Catasto onciario di Orsara è alquanto oscura. La famiglia Guevara, per interesse, fece scomparire il Catasto dal Grande Archivio di Napoli e, solo quando fu ritrovato per caso il secondo originate dello stesso, i contadini orsaresi: Pezzano Vincenzo, Santillo Raffaele, Robusto Giuseppe e Acquaviva Bartolomeo, net 1911 affidarono all'avvocato F.P. Montuori l'incarico di sostenere,davanti al Tribunale civile di Ariano di Puglia, la demanialità delle terre dell'ex feudo di Montellere citando in giudizio Inigo Guevara Suardo e Giovanni de Riseis.
Riproduceva grosso modo la situazione generale : La distribuzione della proprietà e del possesso fondiario. Nel '700, in generale, si notava una riduzione degli addetti al settore agricolo e zootecnico ed uno sviluppo di attività fondate sul commercio e sulle professioni. Non mancarono manifestazioni di un certo rilievo, tra le quali una del 1845 e l'altra del 1847 "atti di polizia", prima serie-Archivio di Stato di Foggia. Il Sindaco di Orsara M. De Paolis cosi scriveva al sig. Intendente di Capitanata il 6 gennaio 1845: "Stamattina più di cento villani di qui con sorpresa di animo del pubblico al suono della campana della chiesa della SS. Ma Vergine delle Nevi, ove hanno aspettato la Messa prima dell' aurora, si sono riuniti, e posti in viaggio per Napoli, senza le debite carte di passaggio, e in modo processionale colla precedenza del Crocefisso... Ad oggetto di chiederne le disposizioni per la divisione di tutti i terreni componenti l'intero tenimento... ". La situazione era critica "... I suddetti bracciali diedero un segno col battere le loro zappe, e poscia riunitisi armati delle stesse di ronche ed accette, fecero situare innanzi loro le donne, che ivi per lo stesso oggetto trovavasi e quindi, minacciosi si misero a scagliare delle zolle di terra contro la forza di gendanneria. Lo enunciato sig. Tenente mostrando un carattere straordinariamente fermo fece avanzare a circa 8 passi di distanza, stando egli alla testa, il caporale Giuseppe Rannelli, ed i gendarmi... , i quali solo fecero argine a quella plebaglia, che voleva irrompere sulla forza. Osservando noi il pericolo, che correva, e considerando che funestissima sarebbe stata la conseguenza, ci gittammo senza curar pericolo tra le bocche dei fucili... e fu risparmiato lo spargimento di sangue". Le manifestazioni descritte stanno a dimostrare la caparbietà del popolo orsarese nel non veder consumato a proprio danno un autentico sopruso. Ma il Catasto esisteva, fu consultato e discusso nella stipula della transazione del 22 febbraio 1804 del Notar Ferdinando Caristo di Napoli tra l'Universita di Orsara ed il Duca di Bovino. Si costituirono i rappresentanti Canonico D. Michele Lamonica per l'Università di Orsara e lo stesso Duca Don Carlo Guevara Suardo. La transazione prevedeva che il Duca rilasciasse a favore di Orsara la Difesa di Montepreise ed Acquara concedendo ad Orsara il Bosco d'Isca del Governatore e tenendo per se quello di Pescorognone. Le liti tra i Guevara e l'Universià di Orsara erano continue ed, in un documento del 1811, risulta che il Duca ricusava di pagare la bonatenenza e gli altri pesi sui vari corpi siti nel tenimento di Orsara perchè feudali Nella lite tra l'ex feudatario e l'Università di Orsara del 1803 fu accertato che, Isca del Governatore era tra i confini della difesa denominata Montemaggiore della Università e non in quelli dell'ex feudo di Montellere. Ciò dalla pianta del feudo Montellere formata nel 1539 nel giudizio tra il Regio Fisco e Guevara di Guevara. Precedentemente nel 1810 in una lite tra le stesse parti e, precisamente il 23 marzo, la Commissione Feudale ordinava al Duca l'esibizione del Catasto ed il 31 agosto dello stesso anno, nonostante il Duca non produsse la copia del Catasto, la Commissione decise ugualmente la causa.


Nel Grande Archivio di Stato di Napoli il Catasto fu fatto sparire e molti sono i punti oscuri. Il procuratore rappresentante l'Università di Orsara era un certo Clemente Gaito, non munito di alcun mandato e quello che suona molto strano è il fatto che a rappresentare gli interessi dell'Università di Orsara non fosse piu il dott. Giuseppe Casoria, che aveva svolto ineccepibilmente tale incarico in precedenza. Ad Orsara il secondo originale esisteva, trovato tra gli avanzi delle carte dell'Archivio Comunale, con la seguente annotazione: 'Questo misero avvanzo delle carte dell'Univenità, ridotto in brani, e dispersi si sono raccolti, riuniti, e ligati con le mie mani, sappiatelo conservare, giacchè si è fatto credere che il doppio non esiste, e perciò si sono notate le dietroscritte notizie".(G. Forgione Notaio). Il secondo originale fu celato, dopo anni, presso la casa di Forgione, fino alla morte di questi avvenuta nel 1847. Inoltre il Duca di Guevara tentò di accreditare la tesi che l'Università di Orsara non avesse compilato il Catasto. Si tentò anche la tesi dell' annullamento del Catasto: La verità è che non raggiungendosi il pareggio nel Catasto, differenza di ducati 251:14:6 fu caricata ai padroni di bestiame, come gabella sul bestiame per non farla gravare sui poveri.


Il Catasto onciario è articolato in quattro parti: Atti preliminari, Apprezzo, Rivele, Onciario. Gli atti preliminari riguardano bandi, ordini, inviti, attestazioni varie.
Tramite bando veniva convocato il "Parlamento dell' Università" per la elezione di 6 deputati (due del primo ceto, due del mediocre, due dell'inferiore) e di 4 estimatori (due cittadini e due forestieri), destinati, i primi al controllo del procedimento e alla discussione delle Rivele, i secondi alla formazione dell'Apprezzo, che riguardava tutti gli appezzamenti agricoli compresi net territorio dell'Università.
La Rivela era una dichiarazione, fatta sotto giuramento, di tutti i beni che ognuno possedeva, delle rendite che ne derivavano e dei pesi a cui questi beni erano soggetti, nonchè della propria qualifica. Sulle Rivele si formava il Catasto in cui si riportavano i nomi dei cittadini, la loro professione, i componenti del nucleo familiare, i beni posseduti ed i pesi da cui erano gravati.
1) Cittadini abitanti e non abitanti: pagava il testatico il capofuoco (si era esenti oltre il 60° anno di età); vi era una tassa sui beni e una imposta sul lavoro per i soli maschi (pagavano a meta dai 14 ai 18 anni) a seconda del mestiere che svolgevano. Non pagavano alcuna tassa quelli che vivevano di rendita od esercitavano professioni nobili.
2) Vedove e vergini in capillis: pagavano per i beni se la rendita superava i 6 ducati.
3)Ecclesiastici secolari cittadini: comparivano nel Catasto solo per quella parte di rendita che superava i limiti entro cui era fissato neIla diocesi il patrimonio sacro.
4) Forestieri abitanti laici: pagavano la bonatenenza e un ius habitationis di 15 carlini.
5) Chiese, monasteri, e luoghi pii forestieri: erano tenuti al pagamento della bonatenenza per metà.
6) Forestieri non abitanti laici: iscritti nel Catasto perchè proprietari di beni nel Comune, dovevano pagare la bonatenenza.


La "bonatenenza", per i forestieri bonatenenti non abitanti, era la tassa pagata dai forestieri che non abitavano, ma possedevano dei beni nel territorio dell'Università. Lo "ius habitationis" era la tassa che dovevano pagare i forestieri che abitavano nel Comune. Tale tassa (Bonatenenza) si calcolava in questo modo : si moltiplicava il numero dei fuochi che risultava dall'ultimo censimento, per 42 carlini (in quanto era stabilito che ogni fuoco dell'Università doveva contribuire alla "Real Corte" con 42 carlini). II prodotto così ottenuto costituiva la somma che l'Università doveva. Da questo prodotto si sottraeva "un certo numero di ducati per beni in contestazione (bonatenenza litigiosa)"; il resto era diviso per "l'ammontare complessivo delle once di tutte le categorie", così si aveva "l'aliquota dell'imposta". Essa era costituita dai soldi che si dovevano pagare per ogni oncia di beni accertati; bastava quindi moltiplicare l'aliquota per le once di rendita per sapere qual era l'imposta di ogni contribuente.
Una lettura approfondita del Catasto onciario evidenzia una situazione femminile difficile e per le precarie condizioni economiche e per la struttura maschilista della società. II fatto che nell'Onciario i componenti di sesso femminile sono elencati dopo quelli maschili è un chiaro indice di subalternità. Molti dovevano essere i pregiudizi nei confronti della donna ed in particolare della vedova se si tiene soprattutto presente la povertà del nostro paese e la lotta per la sopravvivenza particolarmente dura. Le vedove e vergini costituivano la categoria sociale più povera di Orsara. Esse pagavano, infatti, in media once 22,35 pro-capite, reddito leggermente superiore solo a quello dei forestieri abitanti. Vergini: le nubili, dette volgarmente vergini in capillis (si definiscono tali le giovani nubili che per segno di illibatezza dovevano portare i capelli raccolti e non scioglierli che il giorno delle nozze). L'età media della vedova era di 43 anni. Le donne si sposavano in età molto giovane e mettevano al mondo molti figli in buona parte destinati a morire nel corso dell'infanzia per carenze igienico - sanitarie ed alimentari. Esse si sposavano prima degli uomini: a 30 anni erano sposate il 45% delle coniugate feminine contro il 29% dei coniugati maschi. L'età media delle coniugate era di anni 35,5. Nel 28% dei matrimoni la donna aveva meno di 25 anni, nel 56,68% la donna aveva dai 26 ai 50 anni, nel 15,32% la donna aveva più di 50 anni. Il marito aveva un'età maggiore della moglie nell'84,4% dei matrimoni.


Nell'Onciario non si riscontrano tracce consistenti del lavoro femminile, ma in controluce si puo presumere che la donna orsarese del '700 fosse soggetta a lavori pesanti. Con certezza la donna in quest'epoca è stata protagonista di una fetta importante dell'economia locale. Non è da sottovalutare il ruolo di quella parte del lavoro femminile destinata all'autoconsumo. Le donne si dedicavano alla cura dei campi e forse reggevano una parte del sistema economico trasformando prodotti e producendo beni: cucivano abiti e biancheria, producevano formaggi. Variegata la presenza femminile nello stesso lavoro artigianale (ad esempio le sarte). Le figlie degli artigiani potevano talvolta, come i loro fratelli, "ereditare l'arte" e le vedove potevano assumere i diritti del marito e continuare ad esercitare l'attività. L'assenza delle donne dalla documentazione scritta e costante anche in documenti successivi. Non vi sono notizie relative a donne dedite allo studio o già istruite e il fenomeno della preclusione degli studi alle donne è attestato sino ad epoca piu recente. Per fare un esempio, ancora nell'Ottocento ad Orsara i pagamenti di salario alle balie avvenivano nella maggior parte dei casi tramite il balio, finivano cioè nelle mani del marito che gestiva interamente il rapporto in quanto trattava l'entità del salario, le modalità dell'allattamento e rispondeva della salute del piccolo.
Le indicazioni date dall'Onciario sembrano convergere verso un unico punto: condizione femminile estremamente difficile caratterizzata da precarie condizioni economiche, solida autorità patriarcale, numerose gravidanze.


Gravava sull'agricoltura meridionale il particolare regime della proprietà fondiaria. Accanto alla proprietà feudale ed ecclesiastica prevalevano immensi demani(feudali e universali) e le cosiddette terre e luoghi aperti; in contrapposizione alle terre aperte vi erano poi, le difese, cioè proprietà chiuse.
a) Montemaiuri o Montemaggiore, Mezzana di Montemaggiore, Pannolino, Isca del Governatore e sotto denominazione Fontana del Salice, Piano della Pila,Airella, La Serra, Sterpaia, Piano della Corte, Padulecchia, Costa delle Pere, Pozzo, Buttaturo, Iamrogato, Portelle, Martino, Mandarone, Fontana Masetta, Nocelle, Fontana dell'Olmo, Urghineto, Coda Crusta, Fontana Preziosa, Toppo del Bandito, Grotta di Calavove, Lavella, Vallarieso, Vallecupiello. Superfcie originaria ettari 707.31.12.
b) Acquara, Riconi di Acquara, Montepreise, Cesine Montepreise. Detti terreni sono il demanio dello antico Montepreise casale resosi disabitato nel 1525. Nel 1529 il Conte Campiglia Feudatario dava ai cittadini ed Università di Orsara tutti i suoi diritti in corrispettivo di una prestazione annua di ducati 55 con il Reale Assenso. Il Duca di Bovino Giovanni Guevara per acquisto succedutosi al Campiglia, ricomprava la parte boscosa con relativa lite alla Regia Camera della Sommaria. Superficie originaria ettari 239.31.98.
c) S.Marco e sotto denominazione Frassino, Pisciano, Cracocchio, Pezza a Borea, Fossa della Canneta, Guado del Giudeo, Brecciano, Cretazzo, Baglione, Grotta del Monaco, Grotta, Fontana la Lama, Cisare, Lama. Ettari 152.75.70.
d) Montagna o Calabrese, Elce e sotto denominazioni Via Cavallina, Guado del Monaco, Sannoro, Piano delle Perazze, Lama Bianca, Trinchinera, Lama delle Petrelle, Lama dei Bovi, Toppo della Chiusa, Pietra Lavorata, Titolo, Trainera, Topparso, Fontana della Cordogna. Ettari 607.76.04.
e) Verditolo o Ischia. Ettari 106.06.86.
f) Ripalonga o Mezzanella di Ripalonga, Mezzanella di Crepacuore e sottodenominazione Perozzi, Lama di Bove,Ruri, Rascagatti, Grotti. Ettari 865.55.93.
g) Cervellino e sottodenominazione Macinante, Piano delle Cicorie, Cretazze, Inverse della Madonna, Rigoni di Riccio, Rigoni, Monte Cucullo, Forchioni, Scampata, Fontana di Riccio, Cesine, Manica, Sorduto, Tre ConFini, Breciaro, Chiusa dei Preti. Ettari 1421.26.22.
Tra la proprietà feudale e la proprietà privata vi erano circa quattro quinti di terre pubbliche, i demani, ove gli abitanti esercitavano i cosiddetti iura civitatis (ligna incidere, silica colligere, armenta pascere ad proprium et unicum usum, ius calcis coquendae, glandis legendae, pecudum ad aquam appulsus) che si esercitavano non solo sui demani comunali ma anche su quelli feudali mediante corresponsione al feudatario, nel caso di semina, di canoni e censi. Il patrimonio terriero era coltivato con sistemi primitivi e veniva lasciato in gran parte incolto per le esigenze della pastorizia. Gli iura civitatis erano diritti, da suddividersi in 3 categorie. La prima era quella degli usi civici essenziali: riguardavano lo stretto necessario al sostentamento della persona e della famiglia. La seconda categoria era quella degli usi civici utili, nel cui esercizio rientrava un certo tasso di profitto economico. La terza era quella degli usi civici dominicali, che implicavano una certa misura di partecipazione al dominio del fondo e di godimento dei suoi frutti.
Nel Settecento, nell'Italia meridionale, si assisteva alla concentrazione della ricchezza nelle mani di non molti individui o di enti ed istituzioni ecclesiastiche e sul versante opposto si collocava la stragrande maggioranza degli abitanti spesso indigenti. Questa situazione rifletteva anche quella orsarese: le ricchezze erano nelle mani del Duca di Guevara, della Duchessa di Alveto, dei "civili" e di alcuni esponenti del clero.


L'economia agricola, quindi, era decisamente caratterizzata da una struttura produttiva feudale, il cui elemento chiave era l'uso di estese parti delle terre demaniali e feudali; a ciò si accompagnava una debolissima presenza della proprietà privata, una proprietà contadina che per la sua estrema esiguità finiva con lo svolgere una funzione di semplice complemento dei mezzi di sussitenza. Vi era subordinazione al barone locale dell'attività agricola, nella quale si inserivano elementi del ceto civile che svolgevano l'esercizio del prestito, date le deboli strutture delle aziende contadine. Il peso della conduzione agricola veniva a cadere sulle spalle dei massari, che per quanto si avvantagiassero dell'assenteismo delle classi padronali, si muovevano comunque, in generale, in un'ottica produttiva limitata, incentrata prevalentemente sulla cerealicol­tura. Anche la piccola proprietà contadina rimaneva soffocata dal generale immobilismo del mondo agrario, priva di una precisa identità sociale. Il mondo contadino mostrava i segni di una marcata povertà.
Tra le varie figure agricole quella dei massari aveva una particotare importanza: a volte, essi erano dei veri e propri imprenditori agricoli. Alcuni di essi, per capacità economiche, si confondevano con le condizioni della maggior parte dei bracciali, altri raggiungevano patrimoni di oltre 300 once di imponibile. I massari si configuravano come un ceto emergente nel corso del `700. Spesso miravano a confondersi con il ceto civile, perseguendo forme di riconoscimento sociale ed in questa ottica si spiega l'avvio dei figli alla carriera ecclesiastica o alle professioni liberali. Massari si nasceva e ciò emergeva chiaramente dall'analisi della situazione. I figli dei massari erano massari ed un ruolo fondamentale lo giocava non solo la tradizione fondamentale ed i legami di parentela, ma anche la disponibilità patrimoniale. Il massaro si presentava nelle note distinzioni di massaro di animali o di campo. La figura del massaro era infatti caratterizzata non tanto dal piccolo e medio possesso terriero o da quello degli animali (quest'ultima attività più redditizia di quella agricola), quanto dalla capacità di conduzione aziendale. Una tendenza riscontrabile era quella di trovare in famiglia il lavoro necessario ricorrendo il meno possibile alla manodopera salariata e quindi si spiegava la presenza dei figli massari. Qualche masseria veniva affidata a uomini di loro fiducia, i "curatoli".
La pastorizia era un'attività importante da cui la popolazione traeva, essendo un'economia chiusa, parte dei prodotti necessari alla sua sopravvivenza: carne, latte, formaggio, lana. Certamente era un'industria nomade sostenuta principalmente dai pascoli e quindi, incapace di dare quegli utili che si ottengono da un allevamento razionale. I bovini venivano allevati per il lavoro del terreno ma, si utilizzavano anche per il traino e per la trebbiatura del grano.


Nel territorio di Orsara, nei secoli precedenti, la tenuta di Cervellino era stata prescelta con altri 13 fondi da Ferdinando I d'Aragona per uso della Real Razza di Puglia, che fu soppressa per effetto di ordini reali del 7 e 15 gennaio 1689 che riguardarono anche la Real Cavallerizza della Maddalena.
Numerosi i muli, animali preziosi, prestandosi al trasporto dei prodotti agricoli, oltre che al tiro pesante, alla trebbiatura del frumento e al basto.
L'allevamento della specie suina si faceva in paese e non vi era famiglia che non avesse uno o piu animali. Prevalevano i maiali di Razza nera senza setole.
Il bestiame nella stagione del pascolo era allevato all'aperto esposto a tutte le intemperie e, nella stagione fredda ricoverati in locali angusti.
Le famiglie dei massari si presentavano numericamente ampie con una composizione media di 6 componenti per fuoco. Vi erano alcuni casi di famiglie multiple di tipo dipendente in cui il capo fuoco accoglieva sotto il proprio tetto uno o più figli massari, con le proprie famiglie. Scambi matrimoniali nell'ambito della categoria fanno presumere delle relazioni d'affari.
La famiglia nucleare si presentava come il tipo di famiglia proprio delle categorie meno abbienti, ed anche il numero dei figli presenti nel fuoco era piuttosto esiguo, a causa, probabilmente, di una maggiore incidenza della mortalità infantile e di un più precoce distacco dei figli dalla famiglia d'origine. La famiglia estesa era frequente presso le categorie a reddito più alto.
La produttività matrimoniale era strettamente dipendente dalla capacità patrimoniale, per cui il numero dei figli era proporzionalmente maggiore laddove si riscontravano più consistente disponibilità di ricchezza. La diversa distribuzione del reddito incideva altresì sulla differenziazione dell'età media al matrimonio tra i vari strati sociali e si manifestava con un ritardo al matrimonio in corrispondenza dell'aumento del reddito posseduto.


La diffusione del celibato, tra i ceti più elevati, rifletteva la mancanza di opportunità matrimoniali che si riducevano notevolmente al di fuori del proprio strato sociale. E' da tener presente, quando si parla di celibi, di quelli che rinunciavano alla costituzione di un nucleo familiare, abbracciando la carriera ecclesiastica. E' una "vocatio" sincera o piuttosto quella che si è soliti definire "promozione sociale" a spingere 1'artigiano, magari il bracciale, a grossi sacrifici pur di esprimere dal suo seno una persona che è vicina alla cultura e alla Chiesa, l'unica depositaria a quel tempo della cultura stessa?
Nell'economia agricola il possesso delle sementi, come 1'impiego di animali da lavoro, aveva un valore fondamentale. Il possesso delle sementi sottraeva 1'azienda contadina al giogo a cui spesso soggiaceva, costretta a ricorrere al prestito, tramite "il contratto alla voce", che immetteva nel processo produttivo un capitale usuraio indebolendo le già fragili strutture dell'azienda contadina stessa. In definitiva, gli animali, il capitale monetario e la terra rappresentavano i fattori indispensabili per l'esercizio del mestiere di massaro.
La categoria agricola numericamente più consistente era dei bracciali: nel catasto erano censiti 193 capifuoco e 33 forestieri. Alcuni di essi presentavano una situazione economica discreta, come quella di Carmine di Narducci, di anni 62 che abitava a casa propria luogo detto la Strada de Paulis, possedeva una vigna con versura 1 di territorio, con arbori fruttiferi luogo detto la Guardiola, 2 somari per un totale di 88 once, dalle quali bisogna dedurre on. 2-20 che corrispondeva al Convento di San Domenico per un debito....Una buona parte di bracciali non possedeva beni e viveva solo colle proprie fatiche. Si trattava di nullatenenti che conducevano una vita grama, sottomessi alla volontà dei ceti dominanti, che sfruttavano fino all'ultimo la loro efficienza. La miseria dei contadini si riconosceva principalmente dalle loro abitazioni, in genere una sola stanza poco luminosa e pochissimo aerata formava l'alloggio e il ricovero per animali. L'alimentazione era scarsa, in proporzione alla vita faticosa che conducevano e, si basava principalmente sul frumento.
Altra figura agricola era quella del gualano (10 capifuoco), il cui contenuto professionale aveva contorni non ben delimitati, spaziando dalla custodia degli animali all'aratura.
Il tenore di vita delle classi subalterne addette all'agricoltura era estremamente basso. Il regime alimentare carente, la situazione igienica pessima e le condizioni ambientali di lavoro, spesso proibitive, favorivano le malattie. A prezzo di dure fatiche, i salariati, erano costretti a lavori estenuanti, senza riposo neanche nei giorni festivi, per un compenso insufficiente a mantenere una famiglia pur ai limiti della mera sussistenza.


Da marzo a giugno Orsara diventava un centro di migrazioni stagionali dal Principato Ultra verso la Capitanata, dove i lavori di raccolta del grano si svolgevano almeno un mese di anticipo rispetto alla zona dell'avellinese. I bracciali provenienti dal principato Ultra, dormivano di notte all'aperto e venivano alimentati in maniera deficiente ed alcuni di essi si stabilivano nel nostro paese e sposavano le ragazze orsaresi. Essi provenivano da Bonito, Zuncoli, Castelfranco, Flumeri, ecc. Le condizioni di lavoro dei salariati nel `700 erano simili a quelle del secolo precedente ed anche nell'800 non migliorarono. I livelli dei loro salari erano rimasti sostanzialmente stabili, mentre i prezzi del grano erano notevolmente aumentati. I salari erano costituiti da una parte in denaro e da un'altra in natura; quest'ultima consisteva in pane, olio e sale. Anche donne e ragazzi erano utilizzati come manodopera.
Molto forte era la presenza della Chiesa. Secondo G.Bruschini la rendita annuale complessiva del clero al momento dell'arrivo di Carlo III di Borbone, nel 1734, ammontava a circa 6.500.000 di ducati contro i 2.900.000 di ducati corrispondenti alle entrate generali dello Stato. Nelle istruzioni promulgate dalla Regia Camera, dopo il dispaccio del 4 ottobre 1740 di Carlo di Borbone, vi erano delle novità rispetto alle leggi precedenti, novità che costituivano una vittoria, anche se parziale, contro i privilegi ecclesiastici. I sacerdoti e i monasteri non avevano mai pagato alcun tributo, con le nuove disposizioni invece erano esenti da tributo solo per i beni "per sacra ordinazione". I beni e i luoghi pii, acquistati prima del Concordato del 1751 con la S. Sede, erano gravati da metà imposta, mentre, per quelli acquistati in seguito a tale accordo, avrebbero pagato l'intera tassa. Gli ecclesiastici erano esonerati dal pagamento del testatico e della tassa sui mestieri.
Ad Orsara vennero accatastati il Reverendo Capitolo, il Convento di S. Giovanni Battista, retto dai Padri Domenicani, la Cappella del SS. mo Rosario, la Cappella della SS. ma Nunziata, la Congregazione dei Morti, la Cappella di S. Maria della Neve, la Cappella della SS. ma Concezione, la Cappella del SS. mo Sacramento. Il Reverendo Capitolo di Orsara, a metà Settecento, sulla scorta dei dati del Catasto onciario, risultava titolare di un cospicuo patrimonio fondiario rappresentato da terre seminative e pascolative, con un reddito netto annuo corrispondente ad once 896:13 44, ma essendo i beni degli enti ecclesiastici tassati per meta, il Reverendo Capitolo, per i beni fondi di sua pertinenza, fu accatastato solo per once 458:06.
Una taverna in Piazza, una casa a Colapalummo adibita ad Ospedale, 7 fosse in Piazza per conservare il grano, una metà bottega in Piazza, un molino ad acqua macinante, e numerosissimi appezzamenti di terreno e tra i più consistenti 55 versure al Vallone Caselle, 14 versure al Vallone S. Angelo, 10 versure ad Isca, 9 versure ai Cerri di Scatozza, 9 vensure a Moscara, 9 al Molino di Chirico, 36 a Campo Sualdo, 10 al Serro di Montaguto. La Cappella del SS. mo Rosario possedeva in tutto versure 23. La congregazione dei Morti 10 versure e un sottano in Piazza. La SS. Concezione 2 vacche, 2 giovenghi, 1 ciavarro e 1 annecchiarica. La Cappella di S. Maria della Neve 19 vacche, 7 annecchiariche, 7 ciavarri, 3 giovenghi, 1 toro e 2 ettari di terreno. La Cappella del SS. mo Sagramento 2 case, 1 molino ad acqua macinante, 47 versure di terrerao, 13 vacche, 7 annecchiariche, 18 giovenghi, 7 ciavarri, 2 tori. La Cappella della SS. ma Nunziata 2 case. Il Convento di S. Giovanni Battista 50 versure di terreno ".
I possedimenti terrieri delle chiese formarono nel complesso un patrimonio, di cui una parte cospicua ricadeva nella Chiesa Arcipretale, esente dalla tassazione a norma del Concordato in quanto chiesa Parrocchiale.


Tutti i luoghi pii avevano terreni fittati ai contadini ed esigevano imposte.
Una categoria catastale e sociale a se stante era quella degli ecclesiastici secolari. Nell'anno di compilazione del Catasto, Orsara contava 2074 abitanti e gli ecclesiastici erano 21. La media consentita dalla norma del Concordato del 1741 era fissata al massimo all'1% per abitanti quindi la presenza degli ecclesiastici ad Orsara era al limite della norma. Il clero del XVIII secolo era potente e numeroso. I sacerdoti godevano, appunto, di forti privilegi fiscali e giudiziari; proprio nella seconda meta del 1700 tali privilegi cominciarono ad essere limitati e ne sono la prova le pagine del Catasto onciario in cui sono censiti i beni del Reverendo Capitolo, del Convento, delle Cappelle e vengono sottoposti a tributo come accade per i beni di qualsiasi altro cittadino. La situazione economica degli ecclesiastici era tra le migliori in paese. Il sacerdote Don Gaetano Fresina possedeva: "una casa a Colapalummo, una vigna alla Carrozza, una casa affittata di 4 membri nel luogo detto la Taverna, 2 botteghe affittate in Piazza, un altra casa affittata in Piazza, aveva prestato 50 ducati agli eredi di Martino Curio, 20 ducati a Gennaro Buonpensiero, possedeva oltre 40 versure di terreno, 21 vacche di corpo, 3 giovenghi, 1 toro e 3 ciavarri". Tutti possedevano una o più case anche con più membri, mentre le case degli altri cittadini erano costituite, per lo più, da un'unica stanza ed a piano terra. Le case degli ecclesiastici erano ubicate al centro del paese, 3 di essi abitavano in Via Donna Cecilia, 3 in Piazza, 3 in Via Colapalummo, 2 a Porta Greci, 2 al Forno di basso ed i rimanenti a Largo S. Giovanni, in Via de Paulis, Via Tarantino, Porta S. Pietro, Via Donato dell'Erario e Via Ranaldo. I bassi erano adoperati come botteghe, taverne e magazzini. In due sottani vi erano due centemoli, Don Ferdinando Viola e Don Pasquale Ricci ne avevano due in Piazza.
La plurisecolare esenzione fiscale degli enti ecclesiastici giocava pure un ruolo nell'accumulo del denaro dato in prestito da questi enti che esercitavano talvolta una vera e propria funzione bancaria. Gli enti ecclesiastici erano proprietari di molini, ubicati al di fuori dell'abitato onde sfruttare l'energia idrica; essi costituivano gli strumenti idonei alla trasformazione dei prodotti necessari alla vita della comunità. Nell'esaminare la situazione dei bracciali e dei massari si è notato che essi trovavano un certo vantaggio nell'avere a censo i terreni di proprietà ecclesiastica, grazie a contratti convenienti. In verità, notevoli erano le possibilità offerte dalla Chiesa che, fornendo danaro a basso costo, consentiva ai cittadini di migliorare le loro abitazioni, di acquistare qualche pezzo di terra, di migliorare le loro attrezzature, di acquistare degli animali o di intraprendere qualche attività commerciale.
I rapporti esistenti tra le autorità civili e la Chiesa; dovevano essere buoni se si considera che nello stato discusso dell'Università di Orsara la Chiesa compare in più voci: su un totale di ducati 2222:24, le voci relative alle spese per il culto e le feste religiose ammontavano a ducati 90. Non c‘è da meravigliarsi se nel bilancio comunale comparivano voci di spese per il culto e le feste religiose, anche se gli enti ecclesiastici non contribuivano al pareggio del bilancio stesso.


Il ceto civile era formato dai capifuoco esenti dal pagamento dell'imposta sui redditi da lavoro, perchè viventi del proprio o dediti a professioni liberali (ad Orsara vi erano in qualità di capifamiglia un notaro, un agrimensore, due dottori). Il ceto civile si componeva di 7 fuochi. Tre fuochi senza alcuna qualifica sono da far rientrare nello stesso ceto, essendo le famiglie le più ricche del paese.
L'allevamento ed il commercio del grano, a cui si riconnetteva l'esercizio del prestito, erano le attività principali di tale ceto ad Orsara. In genere i "civili" impiegavano capitali in negozio di grano, come Domenico de Gregorio e il notaro Giuseppe d'Agnone; nel catasto si riscontrano esempi certi di reddito provenienti da impianti industriali, seppure legati ad attività di trasformazione di prodotti agricoli, trattandosi di mulini, come quello posseduto dal foggiano Michele Lesma e centemoli, come quelli di Benedetto de Paulis e Pietrantonio Poppa. Il "benestante" era quella figura sociale definita nel Catasto con espressione vive del suo. A questa componente andavano aggiunti anche i professionisti, i grossi massari, gratificati dal titolo di magnifico. Non sempre i benestanti erano tra i più ricchi del paese, talvolta avevano anche possessi inferiori a quelli di un massaro ed anche nell'ambito dello stesso ceto i dati catastali consentono di cogliere differenze notevoli: dalle 62:20 once di Nicola Visconti per le proprietà possedute alle 1567:11 once di Benedetto de Paulis. La costante che emerge dal Catasto, a parte la consistenza dei patrimoni e dei redditi, nell'identificare i nuovi ricchi era la casa, segno di una condizione superiore. Residenti o non, i nobili e i benestanti erano in genere i maggiori proprietari immobiliari, nonchè i maggiori fornitori della rendita proveniente da case e botteghe, insieme con gli enti ecclesiastici e il clero.
La casa palaziata si sviluppava in genere su due o più piani: il proprietario collocava la sua residenza al primo piano. Al piano superiore risiedevano gli altri membri del fuoco, quali sorelle e fratelli non sposati. Alcuni locali del piano terra erano riservati dal proprietario per uso proprio come magazzini di deposito e cantine per conservare il vino. In alcuni casi i benestanti preferivano locare i loro immobili ed abitare in case fittate più ampie, pagando anche cospicui canoni.


Ai benestanti venivano attribuiti i seguenti titoli: magnifico e magnifico don. Quindi, i magnifici di Orsara, come tutti gli altri del Regno, non erano borghesi. Il titolo di "magnifico" veniva, quindi, attribuito ai massari, ai viventi del proprio in genere, allorquando ci si trovava di fronte ad un cospicuo patrimonio. Il "magnifico don" rappresentava qualcosa in più, che andava cercato nel decoro, nello stile di vita, che li avvicinava ai viventi more nobilium. Gli unici benestanti che si fregiavano del titolo di "magnifico don" erano il massaro Benedetto de Paulis, la cui moglie era Donna Gaetana Bramante, la madre Donna Grazia Iaziolla e la sorella Donna Giovanna de Paulis; il dottor Michele Poppa e il dottor Francesco Antonio Fattore che, alternava le cure della salute pubblica all'attività di sacerdote. L'attività professionale era dichiarata solo nei casi in cui era necessaria economicamente all'esistenza del soggetto (notai, fisici). Altri tipi di attività come le cariche della magistratura potevano non essere dichiarate, i titolari preferivano presentarsi come civili, cioè con l'indicazione del loro status sociale. Le professioni liberali conferivano titolo sociale: il dottore per i laureati in legge o in medicina, il professore per i laureati in umane lettere. In questi casi il titolo conferito dalla professione era accomagnato dal magnifico per i professionisti di estrazione borghese. Ai notai non veniva unito il titolo di dottore perchè per esercitare la professione non era necessario il conseguimento del titolo di laurea. A volte l'attributo di "magnifico" era legato anche ad incarichi ministrativi. Non a tutti i deputati al catasto spettava tale titolo. Ad Orsara venne dato al deputato del primo ceto Donato dell'Erario. Osservando attentamente il quadro complessivo del veto civile si riscontra una situazione diversa e migliore rispetto alle altre classi sociali. D. Benedetto de Paulis viveva in una casa palaziata in più piani sita a Ranaldo, D. Michele Spontarelli possedeva una casa palaziata a Foggia, Pietrantonio Poppa viveva in una casa palaziata con giardino di fronte al Convento di San Domenico.
Nei nuclei familiari dei civili ricorrevano le frequenze piu alte di ecclesiastici, professionisti, studenti, e si riscontrava la presenza di serve. Nel fuoco di D. Michele Spontarelli vi era un figlio alla scuola, in quello di Nicola Visconti un fratello sacerdote ed un altro erario dell'Illustre Possessore, in quello di Pietro Fattore due fratelli canonici e due clerici, in quello di Nicola Alfani vi era una serva così come in quello di Carlo Poppa.


Gli artigiani presenti erano in grado di soddisfare il locale fabbisogno sia per quantità di manodopera che per qualità di lavoro. In merito all'occupazione, non sempre e non per tutti era garantito il lavoro per l'intero anno, tenendo anche presente la questione del lavoro stagionale, tipico di alcuni mestieri, come quello del muratore. L'attività degli artigiani era condizionata dall'andamento dell'agricoltura, perchè ad un buon raccolto corrispondeva un certo benessere, in caso di carestia, vi era disoccupazione con ripercussione sul tenore di vita delle famiglie. Si riscontrano differenze tra l'artigiano semplice e il mastro artigiano. Quest'ultimo appellativo, infatti, spettava soltanto agli artigiani con bottega più grossa e rinomata, i quali avevano un certo numero di discepoli e lavoranti.
Qualche artigiano non svolgeva la sua attività solo nell'ambito comunale. Giandomenico Tarantino era rinomato e apprezzato ed i suoi prodotti erano commissionati anche in paesi limitrofi. Egli era un artigiano di particolare intelligenza e bravura, un "artista" ed è documentato che le campane di molte chiese di comuni della provincia di Foggia e di Avellino sono opera di Giandomenico. L'arte e la tecnica di fondere le campane era tramandata di padre in figlio, la famiglia Tarantino aveva una grande fonderia a S. Angelo dei Lombardi; la presenza abbondante di acqua e legna rendeva possibile anche ad Orsara il lavoro di fondere le campane.
Il numero dei falegnami, sartori, ferrari, calzolai e barbieri era in rapporto normale per i bisogni del paese.
I Curcio e i Languzzi erano famiglie di falegnami, i Fresina erano sarti, i Morzillo calzolai, i Del Priore e i Rutigliano erano fabbricatori.
Gli scarpari non si dedicavano soltanto alla fabbricazione di scarpe ma anche alla realizzazione di selle e di altri manufatti in cuoio o pelle.
Le occasioni di mercato ad Orsara non dovevano mancare, da ricordare la festa di San Michele, protettore del Paese, per le cui le spese come si riscontra in una voce dello stato discusso, contribuiva la stessa Università.


Due erano le fiere importanti: una si svolgeva dal 27 al 29 settembre e l'altra nei giorni 3- 4 e 5 agosto. Dette fiere erano state concesse dal Re Roberto negli anni 1335 e 1336.
Alla categoria degli artigiani si aggiungevano un gran numero di donne, le quali, quando non erano dedite ai lavori domestici o a quelli agricoli, facevano lavori a maglia o di ricamo o esercitava il lavoro di sarta. Il catasto non cita esempi di tal genere e le donne, a meno che non fossero vedove o vergini in capillis capitecensi, non rientravano fra le persone attive soggette alle tasse sull'industria.
Per il lavoro femminile in senso specifico erano citate solo tre serve, che prestavano servizio presso famiglie agiate.
Quasi tutti gli artigiani erano proprietari di piccoli appezzamenti di terreni agricoli. Ventotto artigiani locali abitavano in case proprie; possedevano i trentanove artigiani e negozianti 13 vacche, 9 giovenghi, 5 sopranni, 1 toro, 191 pecore, 8 cavalli, 4 giumente, 20 moritoni, 80 ciavarri, 50 capre, 30 capretti, 4 agnelli, 11 somari, 19 negri, 20 scrofe, 12 porcelli, 2 muli.
I negozianti capifuoco residenti...
I forestieri abitanti laici negozianti..
Alcuni tipi di attività commerciali sono stati difficili da individuare...
Ad Orsara vi erano 4 negozi di Pizzicaria, 1 di Spezieria, 1 negozio non individuato, 1 macelleria, 1 forno, 1 taverna, 1 bottega di scarpaio, 1 negozio di tessuti, oltre al commercio di grano.
Artigiani Capitecensi orsaresi...
Tenuti alla bonatenenza erano quelli che, non residenti in Orsara, vi avevano però beni tassabili.
Nicola Cacchiotto, della terra di Panni, possedeva una casa consistente in un sottano e soprano nel luogo detto il Lavinaro.
Criscenzio Paduli, della terra della Grottaminarda, era proprietario di una casa avanti il Forno di basso.
Il Palazzo Baronale edificato da suoi Antecessori in luogo detto Fontana Nuova, di più e diversi membri superiori ed inferiori, del qual Palazzo ne tiene affittato diversi magazzini e ne ricava circa ds. 40 in qual si voglia anno, da quali dedottone il quarto per le accomodazioni necessarie restano ds. 30, sono on. 100. Di più un sottano di detto Palazzo vi sono due centemoli da macinar grano che le possono rendere annui ds. 10 on. 33:10. Possiede la Difesa detta Ripalonga della capacità di versure 820, censuata detta Difesa ai massari di questa Terra e ne percepisce celibet anno in grana tomola 372, che ridotto in prezzo sono docati 222, sono on. 740. Possiede due forni, che si affittano per ds. 127 e venti, dai quali dedottone il quarto per le accomodazioni necessarie, restano ds.85:40, sono on. 2 Esigge da Angelo Tozza grana 6 dodici ridotto in prezzo, sono ds. 7.2 per censuazione di alcuni territori, sono on. 24. Più possiede un territorio di versure 8 luogo detto Guado Vivo censuato ad Angelo Del Sonno per 9 di grano in ogn'Anno che ridotto in ds.12 sono ds. 5:40, sono on. 18. Esigge da Ippolita Staffieri annui ds. 0:20 per affitto di un orto, sono on. 20. Da Carmine Morzuillo per un orto censuato luogo detto Iammorgato ds. 3:52 che sono on. 11:22. Possiede un corpo detto Magliano, che dicono essere burgensatico per non essere nella platea feudale, della capacità di carra 48 e versure 125, giusta il fiume di Sannoro, stimata la rendita di ds. 730, sono on. 2433:10. Possiede anco del modo di supra spiegato un Corpo chiamato Monte Squarciello di carra 2 e versure 10, giusta la Difesa di Cervolino, stimata la rendita ds. 25, sono on. 83:10. Possiede anco del modo di supra un altro Corpo chiamato Piscorognone e l' Isca del Governatore di carra 2 e versure 12, giusta la Difesa di questa Università chiamata Montemajuro, stimata la rendita di ds.36, sono on. 120.
E‘ la proprietà di esclusiva pertinenza del feudatario, che la possiede non in quanto tale ma come privato cittadino; essa non è quindi di natura feudale, e non è pertanto soggetta al pagamento del relevio, ma della bonatenenza. La legge del 2 agosto 1806 (art.9) escluse dalla divisione in massa tutti i beni burgensatici degli ex feudatari, comprendendo in essi tutte le macchine idrauliche ed i manufatti pertinenti al loro funzionamento.


Gli imprenditori che operavano ad Orsara, nella maggior parte, impiegavano capitali soprattutto nel commercio di grano.
Il feudatario era soggetto al processo della formazione del Catasto e in esso rappresentava, nella sua posizione di cittadino o di forestiero nella sua condizione di possessore di beni feudali e burgensatici, una delle parti dell'Università di cui era utile padrone".
Il "corpo" dell'Università era rappresentato dagli Amministratori (sindaco ed "eletti") cui era demandato il compito della formazione stessa per ordine regio e con le modalità formulate dalla Camera della Sommaria. Nelle prime istruzioni della Sommaria era stabilito 1'obbligo di una duplice e contrapposta dichiarazione preliminare: la fede giurata degli Amministratori dell'Università e la Rivela dall'Erario (amministratore) feudale, concernente i beni del feudatario.
Il feudatario si veniva a trovare di fronte a cittadini investiti protempore di un particolare potere cui anch'egli era soggetto. Si trattava di un rapporto tra due diseguali poteri infrastatali nel contesto di quel potere statale di cui il nuovo Regno tendeva a promuovere un'incisiva affermazione. La Rivela dei beni del feudatario, regolarmente esibita dall'erario, fu discussa con una verifica meticolosa e con aperta contestazione da parte dei deputati sui possessi feudali o burgensatici.
Altra prerogativa del feudatario era la nomina dell'Arciprete di Orsara.


Un altro potere extrastatale, radicato nella realtà storica del regno, quello della Chiesa, era assoggettato per la prima volta alla azione entro il quadro del Concordato raggiunto nel 1741.
Al minore dei tre poteri, quello delle Università, incombeva dunque l'onere della formazione catastale: esso comportava una grande opportunità di far valere la propria autonomia nei rapporti con gli altri maggiori poteri. Erano obbligati a presentare la Rivela:
1) Tutti i capi-famiglia abitanti nel territorio della Università, cittadini o forestieri, anche se nulla-tenenti;
2) gli ecclesiastici secolari;
3) i fuochi assenti: famiglie allontanatesi dal territorio dell' Università verso il territorio d'altra Università che ancora non ne è caricata;
4) Chiese e luoghi pii esistenti net territorio.
La Rivela era un atto obbligatorio e vi erano obblighi per il rivelante. Egli doveva presentare la Rivela anche se nullatenente e sessagenario. Doveva, inoltre, descrivere tutte le persone conviventi indicandone anche la provenienza geografica. Chi non lo faceva, andava incontro a molteplici sanzioni :
a) qualifica di spergiuro;
b) pena di falso;
c) incorporazione dei beni non rivelati (se vi è stata malafede);
d) pagamento della somma di ducati 25 (in caso non si possedessero beni da incorporare).
Il Catasto aveva una funzione fiscale: raccogliere le entrate attraverso un'equa distribuzione dei pesi. Nella normativa del Catasto onciario si parlava di primo, secondo e terzo ceto, tra i quali il "pubblico parlamento" doveva eleggere i deputati addetti al Catasto; nei verbali delle elezioni si trovavano tali ceti indicati più concretamente come quelli dei civili, dei massari e dei bracciali. Anche gli Amministratori - Sindaco ed "eletti" dell'Università erano espressi in rappresentanza degli stessi ceti. La funzione dei deputati era molto importante. Tra l'altro, essi determinavano la rendita dei beni, ma le funzioni essenziali erano due: la direzione della discussione e la deliberazione dell'iscrizione. Essi dovevano avere determinati requisiti: "timorati di Dio, non inquisiti, d'ogni eccezione maggiore". La discussione era il momento fondamentale nella formazione del Catasto: aveva la funzione di realizzare, attraverso la pubblica esposizione dei dati e la pubblica audizione di tutti gli interessati, una revisione di tutti gli elementi acquisiti. Le Rivele e gli Apprezzi, o soggetti alla discussione, erano revisionabili da parte dei deputati, i quali erano gli artefici ed i responsabili del Catasto. I deputati dovevano esaminare se il contenuto delle Rivele fosse vero accertando l'eventuale falsità, "emendare e ridurre al vero quello che nelle Rivele vi fosse di falso".

 

La compilazione di un Catasto è nel Settecento opera di innovazione tecnica e assieme di lotta politica. Dove un Catasto è attuato, un mutamento viene introdotto non solo nelle consuetudini fiscali ma, negli indirizzi agricoli, nelle politiche di investimento, negli assetti amministrativi e concentra in se quasi sempre lo scontro, il contrasto fra i disegni di riforma e la più forte e prevalente volontà conservatrice, che neppure con i Napoleonidi portò a una svolta decisiva a favore delle classi più numerose e più povere.

Il sito istituzionale del Comune di Orsara di Puglia è un progetto realizzato da Parsec 3.26 S.r.l.

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